Nel club dei cervelloni, riuniti in un’associazione che si chiama Mensa e che comprende coloro che hanno un quoziente di intelligenza superiore a 148 (l’indice medio è 100-110), ci sono anche quattro bergamaschi. I loro curriculum indicano già qualcosa di speciale: doppie lauree, libretti universitari zeppi di 30, incarichi prestigiosi in giovane età. Ma loro non si sentono geni. «Son fatto così – dice uno di loro – posso trascorrere la nottata tra dati e cifre ed essere contento, se invece buco la ruota della bici e tento di ripararla perdo subito la pazienza, non sono predisposto per le attività manuali». «Non credo di essere un genio – gli fa eco un altro "cervellone" – semplicemente si ha la consapevolezza di avere maggiori capacità logiche. Forse in Bergamasca ci sono altri con un Q.I. superiore, ma non lo sanno perché non hanno fatto il test». Geni infelici? «Smentiamo. Al massimo sei più riflessivo». C’è da credergli: nel tempo libero c’è chi scrive racconti, ma anche chi fa l’arbitro in Eccellenza, chi fa il volontario alla Cri e chi va in palestra. Come persone normali. O quasi.(31/07/2006)
© RIPRODUZIONE RISERVATA