Pong-pong tra ministro Mattioli e Regione sulla cava di Fara Gera d’Adda-Badalasco

La controversa vicenda della cava di Fara Gera d’Adda è diventata un tavolo da ping-pong, con il ministro dell’Ambiente Altiero Matteoli e da una parte e la Regione dall’altra.

Interpellato sulla paventata apertura della cava, il ministro ha passato la palla alla Regione, affermando che «la legge rimette all’esclusiva discrezionalità degli organi regionali il rilascio dell’autorizzazione all’attività estrattiva, a prescindere dalle previsione del Piano provinciale, per esigenze straordinarie connesse alla realizzazione di grandi opere pubbliche».

Matteoli ha solo precisato che esiste il rischio dell’utilizzo dell’insediamento come cava di prestito (cioè per fornire materiale necessario alle grandi infrastrutture), anche se non dovrebbe riguardare le opere per l’alta velocità della tratta Milano-Verona. Neanche un accenno, invece, al fatto che il materiale eventualmente estratto possa tornare utile per altri progetti: dal quadruplicamento della A4 alla Bre.Be.Mi.

Resta dunque incerto il futuro di questa cava da un milione di metri cubi di materiale, considerato oro dalle imprese di escavazione, prevista nel Piano cave approvato dalla Regione 16 marzo scorso. L’unica cosa che sembra ormai certa, è che le quindici famiglie e le cinque aziende agricole sfrattate dai terreni su cui è stato individuato il giacimento dovranno trovarsi per il prossimo novembre un’altra case e un altro lavoro. Gli affitti sono stati infatti disdetti dal proprietario, il conte Giancarlo Melzi d’Eril, che potrebbe già aver venduto i terreni interessati alla cava, ad una società di escavazione.

Continuano dunque ad avere fondamento le preoccupazioni da tempo manifestate dai cittadini di Fara Gera d’Adda e della frazione Badalasco: preoccupazioni che riguardano i danni ambientali su un territorio stimato nel Piano di coordinamento provinciale come di elevato valore naturalistico, l’inquinamento della falda acquifera, che è particolarmente vulnerabile e il dramma di quindici famiglie che a novembre dovranno lasciare casa e dismettere l’attività produttiva che dà loro sostentamento.

(19/07/2004)

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