Parigi e la guerra spiegata ai bambini
«Siate sereni, il bene vincerà sempre»

La psicologa Silvia Vegetti Finzi: «Diciamo ai nostri bambini che loro stessi devono essere l’esempio della convivenza: la scuola, con i compagni che arrivano ormai da tante parti del mondo, è la testimonianza di come si può vivere insieme pur nella diversità di cultura».

Siamo in guerra? Ora l’Isis arriva anche in Italia, a Roma? Possiamo uscire o è meglio stare in casa? Il weekend del terrore, con le notizie tragiche che arrivavano da Parigi, è finito, oggi si è tornati a scuola, ma il rientro alla normalità con i suoi riti - lo zaino, la colazione, il ripasso dei compiti - inevitabilmente non è quello di un lunedì qualunque. In famiglia c’è stato il primo tentativo di tranquillizzare i figli, poi stamattina agli insegnanti il non facile compito di rispondere alle domande, specie se i loro alunni sono i bimbi delle elementari, intorno ai 9-10 anni, quelli che fanno le domande più dirette e che nel loro semplificare ci possono mettere in difficoltà.

Come rispondere alle questioni iniziali? E quando il bambino suggestionato dalle ultime notizie, il bombardamento francese a Raqqa, chiede «ma non ci sono persone innocenti, bambini come me a Raqqa?», il gioco si fa duro per davvero. E il minuto di silenzio durante la lezione sembra infinito. «Noi adulti - dice in un’intervista all’Ansa Silvia Vegetti Finzi - dobbiamo tener presente sempre l’orizzonte che è quello di salvaguardare la fiducia e la speranza. Prima di rispondere ai nostri figli dobbiamo calmare le nostre paure. Quello che sentiamo, le nostre emozioni, hanno una risonanza nei ragazzini, quello che proviamo, magari anche tacendo, viene trasmesso loro. Cerchiamo di mostrarci sereni, diciamo a noi stessi che alla fine il bene vincerà sempre e che nel nostro passato abbiamo superato la guerra mondiale, come accaduto a me stessa scampata all’Olocausto, e come ho ricordato ai miei nipoti proprio stamattina quando mi hanno fatto domande simili».

La psicologa, che con Rizzoli ha pubblicato recentemente «Una bambina senza stella», ci aiuta a superare il momento con alcuni consigli. «Bisogna rispondere con altrettanta semplicità, né troppi ragionamenti geopolitici né far finta che non sia nulla, ma spiegare che anche se certi termini vengono ascoltati in tv o letti sul tablet non siamo in guerra. Ci possono essere attacchi di gruppi di fanatici che odiano, ma i leader si sono riuniti per trovare soluzioni per metterli nell’impossibilità di fare altri attentati. Una seconda cosa importante può essere prendere un atlante aggiornato e far vedere dove stanno combattendo, dove è il califfato; dare una dimensione di geografica di lontananza può calmare. Alla domanda più difficile, quella sui bombardamenti francesi in Siria, bisogna rispondere che sì i bambini sono tutti e sempre innocenti, che nessuno ha chiesto il loro parere, altrimenti avrebbero risposto che vogliono essere in pace».

«Diciamo ai nostri bambini che loro stessi devono essere l’esempio della convivenza: la scuola, con i compagni che arrivano ormai da tante parti del mondo, è la testimonianza di come si può vivere insieme pur nella diversità di cultura. Bisogna conoscersi e parlarsi, queste sono le nostre risposte alla barbarie. Per bambini intorno ai 10 anni è poi fondamentale sentirsi protetti, anche concretamente, per questo abbracciarli è la cosa migliore e più semplice che possiamo fare. E poi uscire, essere normali, la vita continua e dal dolore di questi giorni può nascere l’amore, come si è visto per le tante manifestazioni di partecipazione e cordoglio in tutto il mondo. Chiudersi in casa, aver paura degli altri non serve se non a terrorizzarci di più. Alla domanda se ci potranno essere attacchi anche in Italia inutile negare quello che è un nostro timore, nessuno può garantirci, meglio rispondere che la vita è sempre un rischio. Spetta a tutti noi salvaguardare un futuro di speranza, un futuro desiderabile».

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