Cronaca
Martedì 15 Gennaio 2019
Nuovo ordine di cattura per Manenti
È libero in Francia dopo l’omicidio Gurrieri
Narciso Manenti, 61 anni, di Telgate, non ha scontato un giorno di carcere per l’omicidio di Giuseppe Gurrieri, il carabiniere ucciso a 50 anni in Città Alta davanti al figlio adolescente da un commando dei «Nuclei armati per il contropotere territoriale».
«Lavori forzati a vita», recita la sentenza passata in giudicato nel 1984. In pratica il vecchio ergastolo, anche se Narciso Manenti, 61 anni, di Telgate, non ha scontato un giorno di carcere per l’omicidio di Giuseppe Gurrieri, il carabiniere ucciso a 50 anni in Città Alta davanti al figlio adolescente da un commando dei «Nuclei armati per il contropotere territoriale», banda armata del terrorismo rosso, il 13 marzo 1979.
Riparato in Francia, dove finora ha potuto vivere da uomo libero all’ombra della «dottrina Mitterrand», in virtù della quale viene negata l’estradizione chiesta da Paesi il cui sistema giudiziario «non corrisponda all’idea che Parigi ha delle libertà». Stando a questa visione giurisprudenziale, l’Italia non avrebbe fornito le garanzie del diritto di difesa a Manenti, che è stato condannato a una pena definitiva (e dunque non più passibile di ricorsi) in contumacia, mentre in Francia i contumaci , una volta catturati o costituitisi, hanno diritto a un nuovo processo.
Ma da più di un anno e mezzo, il 17 maggio 2017, il pm della Procura di Bergamo Gianluigi Dettori ha emesso un mandato di arresto europeo nei suoi confronti e sta attendendo risposte dal Paese transalpino, che stavolta, anziché opporre un diniego, ha chiesto alla magistratura bergamasca un supplemento di documentazione.
PARIGI: NIENTE ESTRADIZIONE
Non come 32 anni fa, quando la «Chambre d’accusation» della Corte d’appello di Parigi, con una sentenza del 7.1.87, aveva espresso parere negativo alla richiesta di estradare il terrorista di Telgate che il nostro Paese aveva avanzato il 18.3.86. «La decisione di non concedere l’estradizione deve considerarsi definitiva - recita un telespresso che il ministero degli Affari esteri francese aveva spedito all’ambasciata italiana a Parigi il 17.2.87 -, dato il carattere vincolante del parere negativo del predetto organo giurisdizionale».
Ma dopo tre decenni, in cui con la Francia s’è registrato solo qualche scambio di documenti, ecco che la Procura di Bergamo è tornata alla carica. Lo ha fatto ben prima che esplodesse il caso Battisti (ieri sui muri della città sono comparsi manifesti contro i «buonisti» accusati di averlo difeso), mettendosi in moto dopo l’arrivo del procuratore Walter Mapelli, che fra le prime cose promise di dar corso allo smaltimento delle esecuzioni di pena, fin lì ingolfate. Il caso Manenti è stato preso a cuore da un agente della polizia giudiziaria dell’Ufficio esecuzioni, che quegli anni li visse e che non ha mai digerito che un padre venisse ammazzato così davanti al figlio di 13 anni.
Manenti, insieme a un altro componente del Nucleo (condannato a 10 anni, non riportiamo il nome per il diritto all’oblio), con l’intento di punire Piersandro Gualteroni, medico del carcere, alle 19 del 13 marzo del ’79 aveva fatto irruzione nel suo studio privato di via Donizetti. Tra i pazienti in attesa c’era Gurrieri che aveva accompagnato il figlio per una visita. Era in borghese e disarmato, ma non aveva esitato a intervenire quando aveva visto entrare due uomini col volto travisato. Ne era nata una colluttazione, Manenti era riuscito a divincolarsi e aveva esploso 5 colpi di pistola calibro 7,65 uccidendo il carabiniere. Poi s’era dileguato, rifacendosi una vita in Francia, a Châlette-sur-Loing, comune di 13.000 abitanti nella regione del Centro-Valle della Loira, dove fa l’elettricista.
Che avesse scelto la via francese, gli inquirenti italiani lo avevano capito subito dopo l’emissione del primo ordine di carcerazione il 4 febbraio 1986. La polizia per due giorni lo aveva cercato a casa e in altri luoghi che frequentava, concludendo con un verbale di vane ricerche. Ma le indagini non s’erano fermate lì. Nel novembre 1986, quando il fratello s’era presentato all’Istituto Quarenghi per ritirare copia del diploma di geometra conseguito da Narciso, i poliziotti avevano saputo che serviva per iscriversi alle liste di collocamento francesi.
LA LATITANZA
Per Manenti l’unico periodo da carcerato sono i 4 mesi in cui, all’indomani della richiesta di estradizione dell’Italia, le autorità francesi lo trattennero per controlli, interrogandolo due volte (il 5 e il 12 marzo del 1986). «Gli investigatori bergamaschi della Uigos non avevano mai creduto alle voci che davano per morto Narciso Manenti, ed hanno avuto ragione – si legge su L’Eco del 7 ,arz. L’Interpol lo ha scovato a Parigi - rifugio di diversi terroristi italiani ed anche bergamaschi - facendolo arrestare dalla gendarmeria francese». Poi da Parigi il 18 agosto di quell’anno partì la richiesta all’Italia di un supplemento di documentazione per capire se il condannato aveva goduto di tutte le garanzie processuali e del dritto di difesa. Venne spiegato che Manenti non era all’oscuro del procedimento a suo carico, tanto che nell’81 aveva indirizzato una lettera minatoria contro i giudici che stavano celebrando il «processone» nel bunker del carcere di via Gleno (di cui era uno degli imputati), scrivendo tra l’altro che «le nostre pallottole non sono numerate». Non bastò. La Francia scarcerò Manenti che potè tornare uomo libero. Ora la nuova richiesta di arresto firmata dal pm Dettori. Parigi ha chiesto la sentenza completa di motivazioni e altri atti. Che da Bergamo sono stati spediti il 21 novembre. Da allora in piazza Dante si attende una risposta.
L’OMICIDIO DI GIUSEPPE GURRIERI
Aveva 50 anni, 16 dei quali trascorsi in servizio all’allora «comando gruppo» dei carabinieri di Bergamo, l’appuntato Giuseppe Gurrieri, ammazzato il 13 marzo 1979 nel cortile antistante l’ambulatorio del dottor Piersandro Gualtieroni, in via Donizetti, Città Alta. Un delitto avvenuto di fronte al figlio Mauro, di 13 anni, che il carabiniere aveva accompagnato dal medico per una visita. Nato a Monghidoro (Bologna), il 15 febbraio 1929, Gurrieri si era arruolato nell’Arma nel ’50 e venne inizialmente destinato alla stazione di Sondrio, prima del trasferimento a Bergamo.
Il 13 marzo ’79 Gurrieri si trovò di fronte due giovani, entrambi armati di pistola e con indosso il passamontagna: vero obiettivo – poi rivendicato con una telefonata a «L’Eco di Bergamo» – era in realtà il dottore, all’epoca anche medico del carcere e che i due avrebbero voluto sequestrare. Il commando – si scoprì poi – era targato «Guerriglia proletaria», gruppo di estrema sinistra vicino a «Prima Linea», e composto da Narciso Manenti da un altro componente del nucleo. Arrivati all’ambulatorio in Città Alta, i due si erano però trovati di fronte l’appuntato Gurrieri, che si trovava lì per caso, appunto per aver accompagnato il figlio Mauro dal medico. Cinque i colpi di pistola diretti al carabiniere in servizio a Bergamo, esplosi a distanza ravvicinata. «Non fare lo stupido», sono state le ultime parole di Gurrieri, rivolte a uno dei malviventi. Poi il militare gli ha afferrato le braccia, nel tentativo di disarmarlo. In suo aiuto è però intervenuto il secondo malvivente, che ha esploso i colpi di pistola. Gurrieri è stato poi insignito della medaglia d’argento alla memoria al valor militare.
«Gli hanno sparato da pochi passi, con spietata freddezza perché ha opposto il suo coraggio alle loro pistole – scrive Giorgio Francinetti su L’Eco del 14 marzo 1979 -. Giuseppe Gurrieri, carabiniere del Gruppo di Bergamo, 50 armi, padre di due figli, Mauro e Monica, di 13 e 8 anni, è stato ucciso ieri sera poco dopo le 19 da due giovani banditi davanti all’ambulatorio medico del dott. Piersandro Gualteroni, 53 anni, in via Donizetti, in Città Alta. Gli assassini, mascherati e armati di pistole, volevano probabilmente entrare nello studio del medico, ma sono stati fermati dall’immediata reazione del povero carabiniere che non ha esitato ad affrontare il primo di loro fattosi avanti con l’arma in pugno. C’è stata una colluttazione, poi il giovane si è divincolato e il complice avrebbe sparato a bruciapelo cinque colpi, due dei quali hanno raggiunto al fianco destro il carabiniere che è morto in pochi minuti. Secondo un’altra versione, emessa nella tarda serata durante l’interrogatorio dei testimoni, ad uccidere sarebbe stato invece lo stesso giovane bandito, si era divincolato quello che alla presa del carabiniere».
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