Cronaca / Bergamo Città
Venerdì 30 Gennaio 2015
Mercato del lavoro ingiusto e crudele
Amara lettera di un ragazzo beffato
Pubblichiamo la lettera di un ragazzo di 30 anni che si è trovato senza lavoro, ha pagato un avvocato per avere quanto gli spettava ed è rimasto a mani vuote perché la ditta è fallita. Peccato che il titolare abbia ricominciato con un’altra ditta...
«Gentile redazione de “L’Eco di Bergamo”. Sono un ragazzo di 30 anni che vive in provincia di Bergamo. Volevo raccontarvi quello che ho vissuto negli ultimi mesi. Lavoro nella stessa ditta di Bergamo dal 2010 come impiegato nell’ufficio tecnico a tempo indeterminato e fino ad agosto 2013 mai un problema».
«Da agosto 2013 lo stipendio ha iniziato a ritardare. Prima solo di qualche giorno poi man mano che si andava avanti il ritardo diventava di qualche mese. La scusa del proprietario era che avevamo molti insoluti dai clienti (una scusa “di moda”) e bisogna pagare prima i fornitori per riuscire a proseguire nel lavoro».
«L’azienda è piccola e i clienti dialogano direttamente con l’ufficio tecnico. Sappiamo quindi che non esistono gravi problemi di insoluti (non lavoriamo con enti pubblici e i nostri clienti sono aziende che pagano puntualmente, magari a 90-120 giorni ma sempre come previsto dal contratto) ma i problemi sono altri».
«Vengo a sapere che le ditte consociate con quella in cui lavoro percepiscono regolarmente lo stipendio pur avendo una carenza di lavoro spaventosa e delle perdite enormi parzialmente o totalmente coperte dall’azienda dove lavoro. I problemi della mia ditta sono dovuti quasi esclusivamente al gran numero di consociate acquistate dal proprietario e che hanno delle perdite enormi».
«Nel frattempo il lavoro per noi non manca, anzi pur essendo un’azienda con circa 50 dipendenti gli operai non sono sufficienti a smaltire la mole di lavoro. Per essere completamente funzionale probabilmente l’azienda avrebbe dovuto assumere almeno altri 10 operai».
«A marzo 2014 il titolare ci convoca per una riunione in cui ci comunica la decurtazione dello stipendio “in maniera minima”. Scopro che la maniera minima è il 27% con un calo di circa 350€ netti. La decurtazione è personalizzata in base alle simpatie del titolare. Nonostante questa manovra lo stipendio non arriva puntuale anzi il ritardo aumenta».
«A settembre 2014 vengo a sapere che anche i ritardi negli stipendi sono “personalizzati”. Mentre io ed altri impiegati avevamo quattro stipendi arretrati, altri dipendenti (in particolare operai) da uno a tre mensilità a seconda dell’ “importanza” di ogni singolo soggetto. A ottobre decido quindi di dimettermi per giusta causa dopo essere stato accusato dal proprietario di assenteismo e di fare sciopero bianco mettendo così in crisi l’azienda (mai un giorno di assenza non giustificata né un’ora di ritardo nonostante il ritardo dello stipendio)».
«Una volta dimesso cerco di riottenere la somma che mi spetta (quattro mensilità, tfr , ferie arretrate e tredicesima) tramite decreto ingiuntivo. Contatto un avvocato che fa il suo lavoro e a metà novembre deposita in tribunale il mio decreto ingiuntivo. A inizio dicembre la ditta dichiara fallimento e quindi il decreto ingiuntivo diventa inutile».
«Ad oggi mi ritrovo senza un lavoro a dover pagare 1.300 € di spese legali per quanto fatto fin ora dall’avvocato, a dover presentare domanda di insinuazione al passivo (altri soldi da anticipare a un professionista) per sperare di recuperare parte di quanto la ditta mi deve almeno col fondo di garanzia previsto da Inps (tempi previsti per avere i soldi circa 1 anno dalla domanda)».
«Nel frattempo il titolare ha ricominciato a lavorare con un’altra ditta ovviamente con un prestanome come amministratore e quindi non è perseguibile (anche nella ditta precedente l’amministratore era un prestanome). Potrete facilmente capire il mio stato d’animo ora quale sia: sono principalmente deluso dal fatto che un dipendente per ricevere quello che gli spetta debba fare mille peripezie e spendere un sacco di soldi semplicemente perché qualcuno ha aggirato ogni tipo di legge».
«Faccio davvero fatica a non pubblicare né il nome dell’azienda né il mio ma non mi sembra corretto principalmente per i miei ex colleghi. Vi ringrazio e vi saluto. Cordialità».
Lettera firmata
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