Luisa salvata, polemiche sui soccorsi
«Chiamati dal figlio, nessuno interveniva»

«Ci sarà da riflettere molto e in maniera approfondita sulla non-gestione di questa emergenza». Raffaello Colombo, con il suo gruppo di Unità tecnica di soccorso di Darfo, sa che andrà incontro a delle conseguenze per il suo operato.

Nessuno lo aveva autorizzato a lavorare a Lovere con le unità cinofile e con i volontari. Ed era anche fuori territorio, essendo il suo gruppo stanziato a Darfo (Bs). «Ma sono anni che lo ripeto: bisogna superare le divisioni e i particolarismi che esistono fra i gruppi e fra le strutture amministrative per mettere al primo l’obiettivo di ogni ricerca: trovare il disperso e dare le dovute risposte ai familiari che lo cercano».

Si può dire che questa volta il destino sia stato benigno, ma forse Maria Luisa Longobardo non avrebbe resistito un’altra notte all’addiaccio: in attesa che possa raccontare ciò che le è successo, si può ipotizzare che sia rimasta all’addiaccio per tre notti e tre giorni consecutivi, senza mangiare, senza bere e senza potersi proteggere dal freddo.

«In base a quello che abbiamo visto - aggiunge Colombo - è scivolata per circa 80 metri: la sua fortuna è stata quella di essere rotolata su un pendio, pieno di rovi e spini è vero, ma di non essere precipitata nel vuoto. Abbiamo visto che era incosciente, ma anche che il battito cardiaco era ancora presente: le abbiamo massaggiato le gambe per riattivare la circolazione del sangue, perché era gelata, poi quando è arrivata l’autoambulanza l’hanno attaccato all’ossigeno».

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