L’addio a Pizio, montanaro schivo e geniale

Si sono svolti oggi i funerali dell’artista di Schilpario. Suo il monumento di Papa Giovanni a Sotto il Monte

Schivo, determinato, fedele alla sua personalissima idea della creazione artistica, portata avanti con serietà estrema, senza curarsi né delle critiche poco costruttive né di quelle entusiastiche: Tomaso Pizio si è spento due giorni fa e con lui la figura di un artista tutto passione e integrità.

Questo ricorda anche il pittore Mario Cornali di una conversazione con Pizio: «Era un uomo cordiale, ma traspariva, nel modo in cui si esprimeva sull’arte, il suo carattere quadrato, da "montanaro", con una volontà ferrea, ma allo stesso tempo con una sensibilità non comune».

Nato a Schilpario nel 1932, Pizio coltivò la passione per la pittura fin dalla prima giovinezza, ma già tra i banchi dell’Accademia Carrara, dove a trent’anni l’artista cominciò a frequentare i corsi di pittura e di disegno, e poi dal 1975 alla Scuola internazionale di grafica a Venezia, cominciò a delinearsi chiaramente una personalità artistica decisamente singolare, più attratta dagli insegnamenti di Klee e di Mondrian che dai canoni accademici.

Presto si stabilì a Bergamo e cominciò a dedicarsi anche alla scultura «per timore – affermava – di un passo d’arresto nella pittura e per trasferire in questa forma creativa quanto volutamente trascurato nella pittura», insomma desideroso di confrontarsi con la materia, per dare corpo a quei pensieri creativi che, nati sulla tela, potevano arricchirsi nel mondo plastico di nuovi significati.

Ne nacque, in un continuo gioco di rimandi tra universo pittorico e forma scultorea, un percorso artistico del tutto singolare, o meglio un’originalissima esperienza della visione che è diventata col tempo la sua inconfondibile cifra stilistica.

La poesia Pizio la coglieva in ciò che aveva intorno e nei lampi più cari della memoria, dalle sue montagne ai momenti quotidiani dell’infanzia e della vita contadina, nelle immagini della maternità come nel passo elegante di una ballerina, ma sulla tela la figura, pur non rinnegando la sua intenzione narrativa, era letteralmente rivissuta dal pittore attraverso le emozioni più intense. Luce, colore e movimento sono le tre forze che di continuo, nei dipinti come nelle sculture, si attraggono, si respingono. Come se l’artista guardasse il mondo attraverso un suo particolare prisma, la luce, sentita come dimensione spirituale prima che come strumento espressivo, irrompe nell’immagine reale, la frantuma, la moltiplica, la irradia creando un tumulto di calde vibrazioni, tensioni, singhiozzi, che rivelano, dietro l’idillio, l’inevitabile esperienza del dolore.

Anche il colore si sventaglia in un ritmo inaspettato di accordi di blu, violetti, ocre e aranciati mentre è nelle sculture e nei disegni che la ricerca di Pizio si focalizza sul movimento, capace di far guizzare rapidissimo il segno sulla carta o di deformare, accelerando, la figura scolpita.

Fu proprio questa sua impronta a farlo apprezzare prima di tutto nella sua terra, dove era uno degli artisti più conosciuti e dove le sue opere si possono osservare non solo in collezioni pubbliche e private, ma anche in diversi edifici sacri del territorio, senza dimenticare il noto monumento a Papa Giovanni XXIII a Sotto il Monte o la Madonnina dei Campelli in Valle di Scalve. Ma anche fuori dai confini bergamaschi, in Italia e all’estero, grazie a numerose mostre personali e collettive, da Vienna a Londra, da Lugano a Parigi.

(20/02/2003)

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