
Cronaca
Martedì 08 Marzo 2016
L’omicidio di Roma
e la banalità del male
Devo dire che da quando emergono i particolari dell’omicidio del ragazzo di Roma rabbrividisco e sono preso da un’angoscia profonda. I ragazzi che hanno commesso il delitto, hanno premeditato e compiuto questo atroce gesto, solo per provare l’ebbrezza di un’esperienza limite, sconosciuta.
Roma
Certo, nei prossimi giorni si diranno molte parole su questo evento tragico. In qualche modo dobbiamo cercare di capire, se qualcosa da capire c’è in questa vicenda. Qualcuno ha già detto che questo atto è espressione del senso di onnipotenza che, insieme alla droga e alla noia diventa micidiale. Io non sono esperto di psichiatria, tantomeno di psicologia. A me torna alla mente una caratteristica del male che è stata messa a fuoco da Hannah Arendt: la banalità. Ciò che è disumano, che deforma la nostra esistenza, si insinua nella nostra coscienza senza troppo rumore, senza spettacolarità, ma pian piano, lasciandosi percepire da noi come scontato, normale. Basta poco per cascarci, un istante e la tua mente inizia a pensare che un’esperienza, un pensiero, un atto, non sono impossibili e che, in qualche modo, tu ti ritroverai uomo più sapiente di prima, perché hai compiuto qualcosa che aumenta il tuo bagaglio di esperienze.

Questo mito dell’esperienza che rende più sapienti, diviene il motore del disumano, quando la ricerca dell’esperienza viene condotta senza guardare in faccia a nessuno, senza che nel cuore nasca pietà per qualcuno che devi calpestare per superare i tuoi attuali limiti, che non vedi come delle possibilità di vita, ma come orpelli dai quali liberarti continuamente, senza sosta. Allora carpire l’ultimo respiro di qualcuno del quale tu provochi la morte, può sembrare l’annullamento di ogni limite. In realtà è la fine di ogni possibilità di vita, perché distrugge in te il vero motore della ricerca, dell’affermazione di vita, che è la meraviglia per la gratuità della vita stessa. Eppure è possibile che lo sguardo della meraviglia si spenga, anche in giovani esistenze, perché la ripetizione assillante di esperienze lo dissolve e lo fa diventare l’occhio del predatore.È questo istante possibile che mi suscita angoscia e mi svuota. È questa banalità che mi terrorizza. Una banalità che esplode in tutta la sua violenza, negli atti che compi e ti trascinano nell’abisso dove, quando ti specchi, nemmeno ti accorgi di avere ormai il volto deformato.

Dal mio cuore oggi riesce solo a salire un grido di dolore, per il ragazzo ucciso, ma anche per i giovani assassini. Sento risuonare questo strazio nella mia umanità ferita, non riesco e non voglio difendermi da questo abominio. Forse questo gemito mi salverà dall’indifferenza e mi porterà a essere custode dell’esperienza della meraviglia, unico farmaco possibile contro la banalità e la brutalità del male. Forse dal fondo di questo abisso alzeremo le nostre mani per chiedere che la bellezza di un Dio che si dona, sfigurato dalla morte per darci il suo ultimo respiro, ci salvi e ci ridia vita. Altrimenti saremo condannati a ingurgitare questi momenti di assurdo, con il serio pericolo di fare l’abitudine all’insignificanza che ci circonda e ci visita.
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