L’inchiesta sulla vicenda Moro
Battaglia sul sequestro dei conti
È una battaglia in punta di diritto quella che si sta disputando in Tribunale sul provvedimento di sequestro avvenuto sui conti correnti di Marcello Moro, l’ex assessore comunale del Pdl ed ex presidente del Consorzio di Bonifica.
È una battaglia in punta di diritto quella che si sta disputando in Tribunale sul provvedimento di sequestro avvenuto sui conti correnti di Marcello Moro, l’ex assessore comunale del Pdl ed ex presidente del Consorzio di Bonifica.
Dopo il rigetto di un primo ricorso da parte del Tribunale del Riesame di Bergamo, Marcello Moro, indagato per tuffa ai danni dello Stato, ha incassato invece un risultato positivo a Roma. La Corte di Cassazione, a cui si è rivolto, ha rinviato gli atti a Bergamo, per una nuova udienza di Riesame. La partita, dunque, è aperta.
Il sequestro – che nei fatti vede congelati 197.227,81 euro – era stato richiesto e ottenuto a dicembre 2012 dal pm Giancarlo Mancusi. Secondo le accuse, gli emolumenti (circa 275 mila euro lordi) e i rimborsi (21 mila euro) percepiti da Moro come presidente del Consorzio di Bonifica fra il 2007 e il 2012 sarebbero stati un illecito profitto, dato che il politico del Pdl – per gli inquirenti – aveva soltanto sulla carta, ma non di fatto, i requisiti previsti dallo statuto dell’ente per essere eletto e fare il presidente.
Per essere eletti al Consorzio, infatti, bisogna essere contribuenti, da cittadini proprietari di immobili, oppure da amministratori di impresa proprietaria di immobili. Al momento dell’elezione (dicembre 2006) Marcello Moro non aveva il primo requisito, ma era in possesso del secondo, figurando come presidente del Cda della Agricom International srl, impresa di mangimi di Pognano. Incarico che acquisì il 4 settembre del 2006 e che lasciò il 3 luglio del 2008. Per gli inquirenti una nomina di facciata: il politico non avrebbe avuto un ruolo operativo. Dunque Moro non avrebbe potuto fare il presidente del Consorzio di bonifica – è la conclusione – e percepire stipendio e rimborsi.
Ma la Cassazione ha accolto il ricorso, sposando una delle motivazioni avanzate dall’avvocato di Moro, Nadia Germanà: «La circostanza che la nomina di Moro a legale rappresentante dell’Agricom fosse priva dei poteri gestori ed effettuata solo ai fini della candidabilità dello stesso – scrivono i giudici della Suprema Corte – non sembra sufficiente, allo stato, a integrare il fumus del reato di truffa». Per i giudici poco importa cosa facesse (o non facesse) Moro alla Agricom, essendo reale sulla carta il suo ruolo di legale rappresentante della stessa.
Non così per gli inquirenti, che ritengono invece integrato il reato di truffa da «artifizi e raggiri», perché il ruolo di presidente del Cda di Agricom avrebbe imposto a Moro compiti che risulterebbero non svolti (ad esempio firmare la dichiarazione dei redditi, illustrare i bilanci ai soci, partecipare alle assemblee) e da un ingiusto profitto (lo stipendio da presidente del Consorzio di Bonifica). Nessun ingiusto profitto, per l’avvocato Germanà, che ha sostenuto come Moro abbia comunque svolto pienamente il suo lavoro di presidente del Consorzio di Bonifica. La nuova udienza del Riesame si è tenuta ieri in Tribunale a Bergamo. Il collegio – presieduto dal giudice Vito Di Vita, a latere Stefano Storto e Ilaria Sanesi – scioglierà la riserva nei prossimi giorni.
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