GHADAMES (Libia) - di Marco Sanfilippo
Non abbiamo mai sopportato i doganieri che pretendono soldi alla frontiera per non controllare la jeep, ma quando osserviamo esterrefatti come un doganiere tunisino sta martoriando una vecchia Peugeot di un’innocua, rassegnata famiglia smontando addirittura parti meccaniche, tremiamo al pensiero di quanto impiegherà per perlustrare ogni angolo della Toyota Land Cruiser di uno straniero, cioè la nostra. Eh sì, stavolta allargheremmo i cordoni della borsa per non perdere tempo. Abbiamo la guida che ci attende alla frontiera libica e non sappiamo se rimarrà lì in eterno. Per fortuna, il superiore del ligio doganiere intuisce la situazione e ci dà il via libera senza il minimo controllo, i doganieri libici in avanscoperta ci confermano l’ok e, come d’incanto, ci catapultiamo in un minuto alla frontiera libica godendo di una corsia privilegiata. Saleh, la nostra guida (obbligatoria per chi visita la Libia, come abbiamo già raccontato), è lì, puntuale, e ci aiuta a sbrigare le formalità burocratiche, costose e non immediate: paghiamo 170 dinari libici (circa 105 euro) e impieghiamo un’ora e mezzo per essere in regola con i documenti del fuoristrada (ci danno una targa temporanea che scegliamo personalmente e che fissiamo con pezzi di fortuna). In compenso non controllano minimamente la Toyota. Saleh ha in mano un ipotetico programma del viaggio, che però non comprende Ghadames, l’antica città carovaniera al confine con Tunisia e Algeria. Una tappa imperdibile. In Libia le guide sono tenute ad avere con sè fotocopie del percorso esatto e a consegnarle ai vari controlli lungo la strada, così Saleh deve telefonare all’agenzia per cambiare itinerario. Saleh, simpatico cinquantenne, ex giocatore di calcio della serie B libica, parla bene il francese e si arrangia con l’inglese. Dice di essere un musulmano modello, ha una moglie («possiamo averne quattro al massimo, ma me ne basta una») che insegna a scuola e sette figli («un numero normale in Libia»). La sua è una famiglia di classe media: lui lavora per un’agenzia di viaggio e ha un minibus per trasportare i turisti.
Dopo una tappa a Sabratha, vecchia città romana sulla costa (splendido il teatro, il più grande dell’Africa), ci dirigiamo verso Ghadames (nella fotografia la macchina sulla strada), sono circa 600 km nel deserto. Subito una brutta scoperta: i bordi delle strade sono discariche a cielo aperto. Pneumatici, plastica, persino carcasse arrugginite di auto e camion cancellano la bellezza di palmeti e uliveti. Ci si addentra nel deserto, abbastanza monotono, e si vedono sempre meno persone, si attraversano paesi-fantasma perché nessuno desidera cuocersi sotto 40-45 gradi. I cartelli sono scritti soltanto in arabo, ma c’è Saleh immerso nel ruolo di navigatore: possiamo viaggiare anche a 120 km all’ora sull’asfalto bollente perché tanto c’è lui che ci avvisa quando si deve frenare in prossimità di dossi o avvallamenti. Talvolta la sabbia invade la sede stradale e talvolta cammelli in libera circolazione ci obbligano a rallentare.
Ci fermiamo per il rifornimento di gasolio e, mentre Saleh prega nella minuscola moschea del distributore, sorridiamo: il pieno di novanta litri costa 13 dinari, ovvero 10 dollari Usa, ovvero più o meno 8 euro (non siamo aggiornatissimi sul cambio).
Arriviamo a Ghadames al tramonto (nella fotografia le mura della città). Ci attende una doccia in un bagno che sembra una sauna, mentre per fortuna nella camera da letto del grazioso alberghetto c’è l’aria condizionata, e una cena a base di hamburger, insalata e doppia Pepsi (per la cronaca meno di 2 euro; la camera doppia 15 euro). Stiamo inviando l’articolo da un Internet point (ormai sono dappertutto). La connessione con il nostro apparato satellitare-computer continua a essere lentissima (per spedire il primo articolo, solo testo, abbiamo impiegato 5’30" spendendo quasi 6 euro di traffico). Un’ora di Internet point costa invece soltanto un euro. E si può socializzare con i giovani libici.
Alla prossima.
(22/07/2005)
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