L’editoriale
Monella, lo Stato tra legge e istinto
di Stefano Serpellini
La grazia non è un atto dovuto. È bene precisarlo, soprattutto a chi già si spende nel solito vittimismo populista, che si può riassumere nello slogan sdegnato: «I ladri fuori, le brave persone in galera
di Stefano Serpellini
La grazia non è un atto dovuto. È bene precisarlo, soprattutto a chi già si spende nel solito vittimismo populista, che si può riassumere nello slogan sdegnato: «I ladri fuori, le brave persone in galera».
La vittima, Ervin Hoxha, albanese di 19 anni, era un ladro. L’omicida, Antonio Monella, 54 anni, impresario edile di Arzago d’Adda, è una brava persona. Stando alla sloganistica sarebbe tutto molto semplice: il ladro quella notte se l’è andata a cercare e ora riposi pure in pace; la brava persona che s’è vista piombare in casa (di notte, tra l’altro) Hoxha e la sua banda, è comprensibile che abbia sparato e in cella non ci deve andare.
Così facendo, si tende però a dimenticare che ci sono una legge, un verdetto passato in giudicato e una ventina di giudici che hanno deliberato che quello è stato un omicidio volontario. Lo stesso Monella ha accettato il carcere (con quale stato d’animo è facilmente intuibile) e gli va riconosciuto che ha preferito non cavalcare l’onda emotiva (con riverberi politici) montata attorno al suo caso. Per intenderci, avrebbe potuto benissimo proporsi come martire della giustizia, optare per l’arresto con conseguente scena melodrammatica (e micidiale dal punto di vista mediatico) dei carabinieri che vanno a prenderlo a casa. È invece rimasto un passo indietro, ha scelto addirittura di consegnarsi lui stesso, togliendo dall’imbarazzo la Procura che ha emesso l’ordine di esecuzione della pena e i militari che avrebbero dovuto eseguirlo.
La sentenza di condanna - e soprattutto l’esecuzione di questa: un brav’uomo che finisce in cella - nasconde infatti un’insidiosa questione politica. Ed è fors’anche per questo che l’istanza di grazia s’è arenata al ministero. Concedere o negare l’atto di clemenza ad Antonio Monella è scelta ardua: bisogna muoversi su una sottile linea d’ombra.
Perché la grazia immediata, automatica, alla brava persona che ha ucciso un ladro rischia di portare con sé un messaggio pericoloso: sparate pure per difendere la vostra proprietà, tanto non farete un giorno di carcere, anche in caso di condanna. Passerebbe il concetto che un’auto, l’argenteria, il telefonino valgano di più di una vita umana. Incoraggerebbe la gente ad armarsi per autodifesa, con le nostre case che si trasformerebbero in arsenali legalizzati come negli Usa. Questa storia ci dice che c’è una richiesta di sicurezza che non può essere trascurata, ma che non può sfociare in un far-west domestico. E la titubanza del ministero di via Arenula proprio questo starebbe a indicare.
Ma, appunto, una brava persona in carcere rischia di generare un sentimento di frustrazione fra una moltitudine di altre brave persone. Soprattutto perché Monella s’è trovato in una situazione che potrebbe capitare a tutti noi e perché probabilmente non ha agito per difendere il proprio Suv, bensì in una sorta di raptus che è un impasto di rabbia, paura, spavento. Lo scrive anche il magistrato di sorveglianza che «alla consumazione del delitto ha certamente contribuito (unitamente a un certo non trascurabile allarme sociale che si era propagato nella zona a causa di reiterati episodi di rapine e furti all’interno di private abitazioni) il forte stato emotivo e d’ansia che ha pervaso il soggetto a causa del furto che stavano compiendo i malviventi».
Insomma, da una parte il pericolo che una grazia non meditata e sofferta spalanchi le porte alla giustizia in punta di fucile; dall’altra, il disagio di sapere in cella un cittadino incensurato che s’è trovato aggredito da malviventi in casa propria e che ha probabilmente agito in preda all’adrenalina del terrore. La soluzione, così, potrebbe trovarsi proprio a metà strada (la suggeriamo anche a costo di passare per cerchiobottisti): una grazia parziale, che riduca da sei a quattro anni la pena, permettendo all’imprenditore di Arzago di essere affidato in prova ai servizi sociali. Alla brava persona Monella sarebbe risparmiato il carcere, con tutti i rischi che comporta per chi non ci è abituato. All’omicida Monella gli obblighi e i controlli quotidiani ricorderebbero quel che ha combinato quella notte.
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