Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 12 Maggio 2014
Berlusconi a tutto tondo su Palafrizzoni
«Tentorio ha governato molto bene»
di Dino Nikpalj
Giorgio Gori? «Ha sempre avuto idee di sinistra». Per la prima volta fuori dal gioco delle candidature, Silvio Berlusconi parla a tutto tondo, anche di Bergamo.
Giorgio Gori? «Ha sempre avuto idee di sinistra». Io lo conoscevo bene: parola di Silvio Berlusconi.«È la conferma che sono sempre stato un editore liberale: mai scelto i manager per le idee politiche».
Quindi non la sorprende la sua candidatura a sindaco di Bergamo, che invece lascia perplesso parte del centrosinistra?
«Per niente. Credo però che Franco Tentorio abbia governato molto bene, senza aumentare le tasse locali: conosce bene la città e la macchina comunale, cosa che Gori dovrebbe invece imparare da zero. E poi Bergamo è una città di lavoratori, artigiani e imprenditori: mi pare un’assurdità che si converta ad una sinistra da sempre ostile a queste categorie».
Nemmeno se guidata da un ex manager Mediaset?
«No, anche perché è sempre stata una persona di sinistra».
Silvio Berlusconi ci accoglie nel suo buen retiro di Villa San Martino ad Arcore, impegnato in una campagna elettorale decisamente anomala dopo la condanna e la decadenza da senatore: alla finestra, o quasi. Che effetto fa, dopo 20 anni?
«Non sono candidato, vero, ma nemmeno Matteo Renzi o Beppe Grillo lo sono. Sto comunque facendo la campagna elettorale con molto entusiasmo: intervengo a Roma o Milano, i soli posti dove posso essere presente fisicamente per le limitazioni che mi sono state imposte, e credo di avere dato buone indicazioni a tutti i candidati. Abbiamo scritto, come mai avevamo fatto prima, dei documenti di formazione per loro: per quanto mi riguarda non c’è nulla di diverso rispetto alle precedenti campagne».
Percorsi di formazione... Ecco, l’impressione è che Forza Italia sia ancora molto partito azienda.
«Sono anni che lo sento dire. Vede, non sono mai stato a capo di un partito azienda,ma di persone provenienti dal mondo del lavoro, dell’impresa, dell’università, manager... Non ho dato vita 20 anni fa ad un partito di professionisti della politica».
Però 20 anni fa eravate partiti col mito del «partito leggero», modello che alla fine non ha portato a radicarvi granché sul territorio.
«Non è così ovunque, io ho la conferma di un buon radicamento. Però ho dato via ad un piano fantascientifico che parte proprio dal rapporto con la gente, da un assoluto radicamento sul territorio».
In che modo?
«Vede, metà degli italiani dichiara di non voler votare, e una piccola parte dichiara di voler mettere scheda bianca nell’urna. Persone amareggiate, deluse, disgustate da questa politica, e rassegnate. Pensiamo agli elettori di Grillo, secondo un nostro sondaggio il 46% è fatto di gente che si deve sfogare, che ha una rabbia dentro: una reazione all’attuale situazione di crisi, di gente senza lavoro. E vorrei ricordare che nel 2011 col mio governo la disoccupazione era all’11%: dopo tre esecutivi non eletti dal popolo, di sinistra e che si sono adeguati alle politiche europee a guida teutonica, siamo al 13».
Ma il progetto in cosa consiste?
«È basato sul modello delle comunità americane, che esiste da decenni: faremo sorgere 12 mila comunità in Italia, ognuna con una media di cinquemila persone».
Con quali scopi?
«Volontariato, stare accanto a chi soffre, lavorare per le vittime della giustizia: lo sa che un partito che avesse come solo obiettivo la riforma della giustizia otterrebbe tra il 18 e il 21%?».
Ma è un nuovo modello di organizzazione di Forza Italia?
«Dei club Forza Silvio, un’altra cosa rispetto a Forza Italia: riguarda la gente e arriva prima del partito. Abbiamo un anno e mezzo per lavorarci. Tra le altre cose, indicheranno due persone per club delegate a controllare le elezioni: nelle ultime ci sono stati sottratti un milione e 600 mila voti. Se poi riuscissimo a convincere un moderato su 10 tra quelli che non vogliono più votare a farlo per noi, sarebbero altri due milioni e 400 mila. Se faccio la somma sono quattro milioni di voti in più per noi: avremmo una maggioranza per cambiare l’assetto istituzionale dell’Italia e procedere a riforme fondamentali: burocrazia, fisco e giustizia».
Mi scusi, ma tra i moderati insoddisfatti c’è anche il suo elettorato.
«Credo che una parte ci sia, ma deve prendere atto del fatto che non avevamo le mani libere: i cittadini non ci avevano dato un voto che ci consentisse di operare senza le pressioni degli altri partiti. E devono anche pensare che siamo stati mandati a casa con un colpo di Stato, fallito nel 2010 e riuscito nel 2011: ma gli italiani paragonino come si stava allora e come si sta adesso. Con un doppio rischio, la sinistra e i 5 Stelle».
Teme molto Grillo...
«Moltissimo. Individuo in lui le peggiori caratteristiche di personaggi, come Robespierre, Stalin Pol Pot e Hitler. E ho paura che, in assenza di un cambiamento totale della politica economica, la prevalenza dei 5 Stelle in questa situazione di crisi porti alla distruzione. E sulle macerie non sarà più possibile costruire nulla».
Molti trovano similitudini tra la Lega delle origini e i grillini.
«Per niente, la Lega portava avanti un disegno indipendentista delle regioni del Nord».
Lei l’ha mai condiviso?
«No, siamo uno Stato unico, le cose che ci uniscono sono prevalenti. Non ho mai creduto nella divisione del Paese, nemmeno in macroregioni».
Non ha mai indicato un delfino, un successore, tranne Alfano. Non le è andata benissimo.
«Che vuole che le dica? Sta nuotando in acque non democratiche e liberali: è stato eletto da chi gli ha dato mandato di opporsi alla sinistra e per amore di poltrone e carriera è diventato il sostegno unico di un governo proprio di sinistra. Sono professionisti della politica: il mio giudizio non può essere più che negativo e credo che troverà conferma già il 25 maggio».
Però si dice che lo incontrerà a breve.
«Non so. Non chiudo la porta a nessuno, ma posso assicurare che nel caso di un suo imprevedibile ritorno non ucciderei il vitello grasso».
Lei ci crede ad un’uscita dall’euro?
«Non l’ho mai detto».
Ma l’ha fatto intendere...
«Ho detto che questo euro non è più sostenibile senza politica monetaria, ma uscire ora senza prepararsi sarebbe molto avventuroso. Solo che per restarci dentro occorre cambiare la politica di una moneta che per noi è straniera. Il rischio default è possibile anche per i nostri Paesi: la Bce deve avere anche la missione di garantire i debiti di tutti i Paesi dell’euro, stampando moneta per immettere liquidità nell’economia: solo così si potrà uscire dalla crisi. Subito dopo, svalutando l’euro che ora come ora penalizza troppo le nostre esportazioni».
Come ne usciamo, secondo lei?
«Rafforzando il Ppe in Europa, che secondo i nostri sondaggi sarà ancora maggioranza. I voti agli altri partiti, anche a quelli che superassero di poco lo sbarramento, conteranno poco perché avranno pochi rappresentanti. Non parliamo di Grillo, che sarà tenuto fuori dal consesso di tutti gli altri perché fa paura: lo stesso Schulz, mio avversario da molti anni, ha detto che gli ricorda Hitler».
Appurato che per una volta è d’accordo con Schulz, che si aspetta da queste elezioni?
«Che un numero importante di nostri elettori del passato possa tornare a votare per noi: per questo penso che potremmo superare il 25%».
Che voto dà al governo Renzi?
«Non ha fatto altro che imporre tasse agli elettori del ceto medio. Se ci fossi andato io al governo catapultato dalla segreteria di un partito, sarebbe scoppiata la rivoluzione. Renzi è lì con la sua bella faccia da bravo ragazzo non comunista a coprire un governo di sinistra, delle tasse e giustizialista. Guardi il decreto legge sul lavoro: è stato stravolto in Senato dalla sinistra e dalla Cgil».
Eppure non le dispiaceva Renzi...
«Come persona è umanamente simpatico, ma ora è nelle mani del Partito comunista».
© RIPRODUZIONE RISERVATA