«Io, cristiana e medico per la vita
da Bagdad all'ospedale di Treviglio»
La testimonianza dell'irachena Suhair Fadheel. La ginecologa obiettore di coscienza all'ospedale di Treviglio è fuggita dall'Iraq nel 2004, durante l'invasione americana. Nel capoluogo della Bassa ha trovato lavoro e l'amore. Il medico ha raccontato le difficoltà della sua famiglia.
È stata invitata a portare la sua testimonianza alla veglia per la vita organizzata a Caravaggio dalla diocesi di Cremona. In parte per il suo lavoro: Suhair Fadheel è una ginecologa obiettore di coscienza, che presta servizio nel reparto di Ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Treviglio. In parte per la sua storia: irachena di fede cattolica, è fuggita dal proprio Paese durante l'invasione americana del 2004.
«Sono scappata per vivere», racconta la dottoressa, che è arrivata in Italia otto anni fa su un aereo della Croce Rossa italiana, vive e lavora a Treviglio, e da giugno è sposata con un trevigliese. «Inizialmente l'Italia non è stata una scelta - spiega Suhair -. La situazione a Bagdad a quel tempo era difficile, l'aeroporto non funzionava, io non avevo il passaporto. Ho finito la specializzazione in ginecologia un mese prima dell'inizio della guerra: era il gennaio 2003, a marzo sono cominciate le ostilità. Un aereo della Croce Rossa faceva la spola con l'Italia una volta al mese. Grazie all'aiuto dell'ambasciata italiana sono riuscita a partire».
Fresca di studi in lingua inglese, Suhair si immaginava il futuro in America o in Inghilterra. «Mi dicevo che in Italia non sarei rimasta. Avevo una preparazione in lingua inglese, non volevo sacrificare tutti i miei studi e ricominciare da capo. Sono scappata per vivere, prima che per lavorare».
In Iraq a quel tempo, come anche oggi, la vita era difficile. I suoi genitori, di fede cristiana, hanno cresciuto nove figli, di cui sei sono diventati medici, attualmente lontani da casa. Il papà, ingegnere e professore universitario ora in pensione, e la mamma, insegnante di fisica di liceo scientifico, anche lei in pensione, vivono ancora a Bagdad, insieme a due figli. Nel 1992 c'è stata la prima partenza: il quarto figlio, di ritorno dal servizio militare, è emigrato in America, nel '93 una sorella è emigrata in Italia e vive a Bologna, nel '94 un altro fratello si è trasferito in Inghilterra, nel '96 un altro in Canada. Suhair è partita nel 2003, dopo di lei sono partiti altri due fratelli, nel 2006 e nel 2008. La situazione negli Anni '90 era dura, c'era anche l'embargo a rendere le cose più difficili. Dopo il 2003 le cose si sono ulteriormente complicate.
«Adesso - spiega Suhair - è molto più facile restare in contatto con chi è rimasto a Bagdad, una volta non c'era internet, né i telefonini, chi aveva il satellitare rischiava la pena di morte». Tante le difficoltà anche per il lavoro. «Avevamo uno stipendio pari a circa tre euro al mese, quando per recarsi in ospedale con i mezzi si spendevano anche dieci euro. Al termine della specializzazione, mi hanno assegnata a una località al confine con l'Iran. I medici erano pochi, e i più giovani venivano mandati in campagna o nelle località più remote. Questo per me, cristiana, significava rischiare la vita: semplicemente prendere un autobus poteva essere oggetto di attacchi, esterni o anche interni. Non abbiamo mai nascosto la nostra fede cristiana». In quel posto al confine con l'Iran Suhair non ci andò mai. Dopo l'arrivo in Italia, sola, senza familiari e amici, ha vissuto a Milano. «Piangevo quasi tutti i giorni. Per avere un lavoro c'è voluto del tempo, la burocrazia è stata dura».
Dopo un incarico a tempo determinato all'ospedale di Sesto San Giovanni, nel 2010 è arrivata con un concorso all'ospedale di Treviglio. L'invito a partecipare alla veglia per la vita di Caravaggio è venuto da don Edoardo, cappellano dell'ospedale di Treviglio. «Per me è stata la prima volta, quando me l'ha chiesto ho detto subito sì, la sensazione è che sia stata una risposta non mia, suggerita dall'Alto. L'amore per la vita è qualcosa che mi hanno trasmesso i miei genitori, con i loro nove figli, e che ho imparato sulla mia pelle: nessuna difficoltà può fermare la speranza nella vita». Insieme a lei, che è stata scelta per far parte anche del consiglio pastorale della comunità parrocchiale di Treviglio, ha partecipato anche il primario del reparto di Ostetricia e Ginecologia, Roberto Grassi, anche lui ginecologo obiettore di coscienza.
La veglia si è tenuta nella parrocchiale di Caravaggio. La chiesa era stata addobbata con i disegni dei bambini, e i partecipanti hanno animato la preghiera con canti e letture. Ha portato la sua testimonianza anche il presidente del Centro di aiuto alla vita (Cav) di Cassano, Adriano Maggioni. A Treviglio Suhair ha trovato anche l'amore. Nel giugno scorso si è sposata con un trevigliese, Dario Castoldi: al suo matrimonio, celebrato nella basilica, è stato possibile riunire tutta la famiglia.
«L'ultima occasione - ricorda la dottoressa Fadheel - era stata dopo i bombardamenti del 1991. Allora scattammo una foto a lume di candela, perché non c'era elettricità. È stata l'ultima volta tutti e undici insieme». La situazione resta comunque difficile per chi ha deciso di restare a Bagdad. «Essere cristiani in Medioriente non è mai facile - aggiunge Suhair -, i cristiani sono sempre stati una minoranza. Dopo la caduta del regime nel 2003 tutto è peggiorato. Oggi nel periodo di Natale o di Pasqua sotto le porte della chiesa si trovano minacce scritte di morte. Ho detto ai miei di non andare alla Messa di Natale, loro l'hanno fatto e mi hanno raccontato che non hanno mai visto la chiesa così.
Rossella Ferrari
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