L'Aquila: imprenditore bg
«Pronto a riaprire i cancelli»

L'Aquila si sarà pure mossa di quindici centimetri, a lui certo il terremoto non lo ha spostato più di tanto. Il bergamasco Fabrizio Farina, direttore tecnico della «Filmet», una ditta che produce film metallizzato per condensatori elettrici, non molla: «La notte della scossa più forte, magnitudo 5.8, non ero qui. Diciamo che non ho subìto il trauma, per questo sono più freddo: tanta gente qui è terrorizzata e la capisco benissimo. Io sono l'unico aquilano che settimana scorsa ha preso le valigie dalla macchina e le ha messe in casa, gli altri hanno fatto esattamente il contrario». Sta di fatto che a Coppito il suo è l'unico camino dal quale esce un filo di fumo. In salotto bruciano tre o quattro bei pezzi di legno, quercia, faggio, mandorlo. Farina ascolta Branduardi. È uno dei pochi rimasti a vivere in casa, un «irriducibile».

«Siamo io e due cani nella casa davanti. A questo terremoto non bisogna poi dargli corda più di tanto. Sa cosa le dico? Qui di gente venuta per i soccorsi ce n'è già fin troppa. Hanno fatto un ottimo lavoro, certamente, ma non bisogna neanche esagerare». Lui quella notte di lunedì 6 aprile non c'era ma sua figlia Alessia, 29 anni, era in questa casa: «È scappata fuori terrorizzata, assieme a tutti gli altri. Erano le 3,33. Lo so perché anche adesso che l'ho fatta rientrare a Bergamo di corsa, tutte le notti alle 3.33 si alza per andare in bagno. Si fa presto a parlare, certe cose bisogna viverle. E mia figlia è una "tosta". Del resto era già un mese e mezzo che sentivano scosse, all'inizio io ho sottovalutato la cosa».

Coppito è un sobborgo dell'Aquila, siamo a meno di un chilometro in linea d'aria dall'ospedale tanto criticato, ma queste case di cemento armato, poggiate su uno spuntone di roccia, hanno danni minimi. Farina in casa si è costruito in maniera rudimentale un «pendolo di Foucault» - lui lo chiama così -, un filo che scende a perpendicolo oscillando, il cui piombo sfiora il tavolo: «Ci ho messo sotto un foglio con le coordinate, quando arriva la scossa mi segno gli spostamenti e gli orari. Poi controllo con quello che dicono i geologi». Si nota qualche crepa nei muri, qualche bel piatto di porcellana è caduto in pezzi (i bicchieri di cristallo invece sono sani), un bel po' di roba è finita per terra e soprattutto qualche buona bottiglia, in cantina, è andata in frantumi. Farina ha preso del vino rosso superstite e lo ha portato agli accampamenti degli sfollati.

Ma al terremoto è deciso a non darla vinta. Sta già rimettendo a posto la casa, e soprattutto vorrebbe riaprire al più presto la sua fabbrica. Mentre su «Raitre» si cavilla se quelli come lui si debbano chiamare «terremotati» o piuttosto «persone vittime del terremoto», lui è già pronto a riaprire i cancelli. Il retro del capannone, costruito in lastre di cemento armato prefabbricate, si è leggermente distaccato: «Ma la struttura è a posto», assicura. «Una volta risistemata la "sala bianca", una zona della lavorazione assolutamente priva di polvere, qui tutto potrebbe funzionare. L'altro giorno sono venuti qui due docenti di Ingegneria della facoltà del Molise. Ti dicono: "Io le firmo anche la carta adesso che sono le 6,20 della sera; ma se alle 6,25 arriva un'altra scossa questa carta vale niente"».

A Farina però stare a lungo con le mani in mano non piace: «Vorremmo far rientrare i ragazzi a lavorare, naturalmente su base volontaria». Sono 19 anni fa che ha costruito questo stabilimento. «Sa perché abbiamo scelto L'Aquila? Perché qui la gente lasciava la chiave nella toppa della porta. È un posto che mi ha subito ispirato fiducia. Ho fatto tre anni avanti e indietro tutte le settimane Bergamo-L'Aquila, portavo giù la famiglia d'estate; poi abbiamo preso anche casa». Ora rischia di doverla lasciare: «Mia moglie mi ha detto: "Vendila e veniamocene"». Ma per il momento lui non sembra intenzionato. «Qui all'Aquila - spiega - facciamo la base dei film metallici per condensatori, a Bologna abbiamo un altro impianto in cui vengono avvolti, e una sede in Romania dove il prodotto viene finito. È una tecnologia italiana, anche i tedeschi hanno imparato da noi». Fanno lavorare 35-40 operai, ragazzi che arrivano dai paesi qui attorno, da Paganica per esempio: «Ho voluto assumere tutta gente di qua. Diplomati, poi il mestiere lo hanno imparato in fabbrica però». In questi mesi anche alla «Filmet» hanno sentito la crisi e la produzione era già in fase di rallentamento, ma adesso essere proprio fermi sta diventando un problema: «Stiamo cercando di forzare un po' per riprendere. Quelle poche ditte che vogliono ripartire e che non hanno problemi strutturali seri dovrebbero lasciarle fare, visto che siamo anche in un momento di crisi mondiale. Da Bologna mi hanno già telefonato se potevo mandar su della roba... Anche gli altri impianti rischiano di fermarsi», con le conseguenze sull'occupazione prevedibili. Certo, la terra in Abruzzo non ha ancora smesso di tremare, ma Farina è convinto che si possa provare a ripartire: «Ho visto che qui vicino hanno riaperto un supermercato, lavorano con tutte le uscite di sicurezza aperte. Potremmo fare così anche noi, in modo che in caso di scosse forti in pochi istanti si potrebbe evacuare. La paura è comprensibilissima, la gente è tesa». Arriva una nuova scossa: «Calma, agitarsi in ogni caso non serve a nientei». Ha smesso di piovere. Ci sono dieci gradi all'Aquila, ma la notte in tenda sarà più fredda. «Notte bùna» dice Farina alla moglie, che è a Longuelo.

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