Cronaca / Bergamo Città
Domenica 12 Ottobre 2014
La nuova carezza di Papa Giovanni
«Questa chiesa abbracci tutti i malati»
«Questa chiesa abbracci tutti i malati e i loro familiari e l’intera comunità che lavora in ospedale e che ogni giorno accoglie e cura i malati». Sono le parole del vescovo Francesco Beschi, domenica mattina 12 ottobre, durante la Messa solenne per la consacrazione della nuova chiesa dell’ospedale, dedicata a San Papa Giovanni XXIII.
Il rito ha coronamento un cammino e un evento molto atteso. Numerose le persone presenti, fra cui Carlo Nicora, Peter Assembergs, Laura Chiappa, rispettivamente direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario dell’ospedale, anch’esso intitolato all’indimenticato Pontefice bergamasco. Presente anche Mario Ratti, presidente del comitato per la costruzione della nuova chiesa e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori.
Molto intensi i momenti della Messa. All’inizio, il vescovo bussato tre volte al portale con un bastone pastorale, opera del 1967 dell’artista Manzù. Poi la benedizione dell’acqua e l’aspersione dell’assemblea, la consegna del Lezionario, le Litanie dei Santi, la preghiera di dedicazione, l’unzione dell’altare con il sacro crisma e l’incensazione, la copertura dell’altare con una tovaglia e la posa dei candelieri, l’illuminazione della chiesa e la consegna del reliquiario con una reliquia del corpo di San Papa Giovanni.
La consacrazione domenica 12 ottobre, a 52 anni esatti dal giorno in cui il Papa bergamasco dava il via al Concilio ecumenico Vaticano II, destinato a mutare in profondità il viso della Chiesa, a renderla in grado di entrare in relazione con un momento storico nuovo, di cambiamenti epocali, di tramonto della civiltà contadina, tradizionale, in buona parte dell’Occidente, e non soltanto.
L’idea di una chiesa per l’ospedale nuovo venne considerata dal vescovo Roberto Amadei che nel 2007 decise di dare vita a un comitato che studiasse le possibilità concrete di realizzazione. Come presidente del comitato venne incaricato l’imprenditore Mario Ratti. Con lui Giovanni Pagnoncelli, Federico Manzoni, Giuseppe Locatelli, Franco Cortesi, Giovanni Gaiti. Per il vescovo le diverse fasi di lavoro furono seguite da monsignor Maurizio Gervasoni, oggi vescovo di Vigevano. Alle riunioni partecipò anche il direttore generale dell’ospedale, prima Carlo Bonometti e poi Carlo Nicora.
Il comitato decise di affidare la progettazione agli stessi professionisti che avevano disegnato il nuovo ospedale: i bergamaschi Pippo e Ferdinando Traversi e l’architetto francese Aymerich Zublena. I finanziamenti arrivarono in buona parte dalla Conferenza episcopale italiana e dalla Fondazione Banca Popolare di Bergamo. Gli architetti studiarono un progetto che dialogasse con la struttura dell’ospedale e, fin da subito, decisero di progettare considerando come arredare e decorare l’interno del tempio, quali opere artistiche inserire e come.
Venne deciso, soprattutto su parere dell’architetto Pippo Traversi, di rivolgersi senza remore all’arte contemporanea e non semplicemente a un’arte novecentesca. Venne coinvolto il milanese Stefano Arienti, quindi i bergamaschi Andrea Mastrovito e Ferrario Freres. Tre artisti contemporanei, dediti alle installazioni, a un’arte in qualche modo alternativa a quella tradizionale. Ad Arienti venne chiesto di elaborare un progetto artistico per le pareti, a Mastrovito vennero commissionate le opere per il presbiterio e a Ferrario la Via Crucis. Una scelta coraggiosa, seguita passo passo da monsignor Gervasoni, con confronti continui, correzioni, e magari pure qualche scontro. Gli artisti ne sono stati felici. Arienti ha dichiarato che il confronto diretto con la committenza, con tutti i limiti che può comportare, alla fine risulta stimolante. Ferrario e Mastrovito hanno avvertito in modo forte la responsabilità di produrre un’opera che non finisse in una galleria d’arte o a un mercante, ma in una chiesa, un luogo di umanità così forte, intensa. Luogo di preghiera.
La nuova chiesa è un luogo che trasmette un senso di pace, la luce piove dall’alto ed entra da una serie di oblò aperti sulle pareti laterali. Sembra che la luce arrivi da ogni punto, che non debba mai finire. Un luogo di speranza nella struttura della cura, dell’uomo che lotta contro la sofferenza con tutte le sue forze, non soltanto tecnologiche. Una grande arca di luce che solca il mare della sofferenza, portata dalla forza della speranza. Nel giorno della consegna alla città, il 25 giugno scorso, il vescovo Francesco Beschi aveva usato l’immagine della soglia: la soglia dell’ospedale, la soglia della città. La soglia, il luogo di confine, di accoglienza per la vita di tante persone, di tante relazioni, esistenze che nell’ospedale si incontrano, si conoscono, si aiutano. E riferendosi al senso di serenità e di accoglienza che questa chiesa degli anni Duemila suscita, il vescovo aveva richiamato proprio il sorriso, e la carezza, di Papa Giovanni.
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