La guerra del salame bergamasco
Coldiretti: «La Regione intervenga»

Il presidente di Coldiretti Bergamo, Alberto Brivio, ha scritto una lettera all’assessore regionale all’agricoltura, Gianni Fava, affinché intervenga in difesa del vero salame bergamasco che rischia di dover subire, sul proprio territorio di produzione, la concorrenza di un salame che un gruppo di salumifici vuole immettere sul mercato e per il quale ha avanzato la richiesta di approvazione del marchio Igp.

Invocando la necessità di andare oltre i tecnicismi burocratici ma di pensare al bene del territorio, Brivio ha sottolineato che il progetto sostenuto dalle aziende trasformatrici industriali non ha alcuna connessione con il sistema produttivo locale e pertanto non può portare alcun vantaggio al sistema agricolo bergamasco. «I salumifici – ha spiegato Brivio - fanno riferimento al recupero dell’identità bergamasca per la produzione del salume quando, a rigor di disciplinare, l’unico aggancio all’agricoltura e al territorio orobico è rappresentato dalla sola possibilità di utilizzare nell’impasto qualche mezzo bicchiere di vino Valcalepio».

Per il presidente di Coldiretti Bergamo inoltre l’impegno alla legatura manuale o all’utilizzo di budello naturale, oltre che non potersi configurare come una pratica che garantisce l’identificazione territoriale, come chiaramente riportato nel disciplinare, viene messa in discussione dalla possibilità di deroga nel caso in cui si produca salame destinato ad essere affettato e venduto tal quale.

Ma il vero nocciolo della questione è rappresentato dalla materia prima, cioè dalla carne utilizzata per la produzione dell’insaccato. «A questo riguardo – ha rilevato Brivio – l’asserzione della presunta valorizzazione del suino pesante italiano fatica a trovare sostenibilità dal momento in cui la carne da destinare alla costituzione dell’impasto nella produzione del salame Igp, se è vero che avrà provenienza nazionale, di fatto, sarà composta dai tagli meno nobili del suino. Questo significa che, tolte le cosce perché destinate a sbocchi più remunerativi, verrà utilizzata carne indifferenziata di tagli meno nobili, il cui quantitativo di utilizzo non andrà certo ad influenzare un mercato che oggi, in certi periodi dell’anno, remunera l’allevatore in modo insufficiente a coprire i costi di produzione».

Brivio ha evidenziato all’assessore che il vero salame bergamasco è invece realizzato con l’utilizzo di tutto il suino, comprendendo quindi anche le cosce, la cui rintracciabilità è certa. Questo aspetto, di fatto, non potrà mai essere garantito con una produzione industrializzata nelle forme proposte dal disciplinare. Un altro punto dolente è rappresentato dal fatto che, il salame Igp, grazie alla certificazione, potrà accedere a risorse pubbliche per la promozione, mettendo ancor più in difficoltà i produttori locali che saranno costretti a investire in misura maggiore se vorranno far prevalere l’identità e il maggiore livello qualitativo del prodotto «artigianale» rispetto a quello «industriale« .

«Oltre a non portare alcun vantaggio agli allevatori di suini – ha concluso Brivio - questa proposta rischia di disorientare ulteriormente il consumatore che si troverà a dover scegliere tra due salami bergamaschi all’apparenza simili ma in realtà profondamente diversi, la cui unica differenza immediatamente percepibile sarà data dal prezzo che diventerà perciò l’unico ed assoluto elemento di scelta».

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