Idomeni, il sogno degli sposi
spezzato nel fango

Hasam indossa una giacca nera di seta e Mayda porta un velo bianco con dei fiori delicati stampati di rosso e nero. Gli abiti più belli che hanno, quelli del loro matrimonio celebrato quattro mesi fa ad Al Hasaka, in Siria, a duecento chilometri da Raqqa, la capitale del Califfato islamico.

Hanno lasciato il Paese in cui sono nati sotto i bombardamenti aerei russi e attraversato la Turchia e il Mar Egeo per approdare sull’isola di Chios. Sono tra gli ultimi profughi arrivati in Grecia dopo l’accordo tra l’Unione europea e il governo di Ankara che blocca gli sbarchi nell’Egeo orientale. Ventidue anni lui e 20 lei, siedono l’uno accanto all’altra a un unico lato del tavolo quadrato con la cerata a fiori, e parlano sottovoce. Da qualche giorno vivono nella casa famiglia di Neos Kosmos, ad Atene, accolti da un sacerdote siriano fuggito nove mesi fa da Aleppo, padre Joseph Bouzouzi, amministratore apostolico dei cattolici di rito armeno in Grecia. Prendono un po’ di respiro prima di proseguire il loro viaggio verso Idomeni, il campo profughi informale sul confine con la Macedonia.

La loro terra promessa è la Germania. A nulla vale spiegare che la frontiera è chiusa e che da un mese esatto ci sono almeno 10.500 migranti accampati in tende di fortuna con cibo al contagocce e poche latrine lungo le rotaie di un treno merci che porta verso il cuore d’Europa. Per molti la Grecia è meta di luna di miele, ma quello di Hasam e Mayda è un viaggio di nozze amaro.

«Voglio terminare i miei studi di Ingegneria del petrolio» dice Hasam in un inglese stentato. Padre Bouzouzi ci aiuta nella traduzione dal siriano. Mayda invece studia Scienze naturali. «Frequentavo l’università a Deir el-Zor – racconta Hasam, occhi azzurri, trasparenti, fiduciosi nonostante tutto in un futuro migliore –: per tre anni ho fatto il pendolare dalla mia città pur di proseguire gli studi. Ormai ero abituato a passare i check point dello Stato islamico, di Assad e dei gruppi ribelli. Sapevo sempre cosa dire agli uni e come rivolgermi agli altri. La vita in Siria è diventata impossibile, per la sicurezza, ma anche perché i prezzi sono altissimi. Un chilo di zucchero costava 50 lire siriane prima della guerra ora 1.200, la benzina ancora peggio, da 25 lire al litro a 300. Non volevo andarmene, lì c’è la mia famiglia d’origine, mio padre e i miei fratelli, ma hanno chiuso l’università e sono dovuto scappare». Per Hasam restare avrebbe significato fare il servizio militare di cinque anni: è per questo che molti giovani come lui scappano.

«Per raggiungere Beirut da Aleppo – spiega padre Bouzouzi – bastano cinque ore ma spesso le famiglie viaggiano anche per 20 ore per fare lo stesso tragitto ed evitare brutte sorprese. Viaggiano in bus e attraversano il Libano per poi volare in Turchia». In Turchia puoi trovare di tutto: un passaporto falso e un biglietto aereo verso gli Stati Uniti e il Canada o un viaggio in bus fino a Smirne o Bodrum per poi salire su un barcone che ti porta a Lesbo o nelle isole dell’Egeo. Dipende solo da quanti soldi hai per procurarti i documenti e corrompere il personale in aeroporto.

Hasam e Mayda hanno prenotato un viaggio «all inclusive» verso la speranza a mille euro a testa. Tanto è costato il passaggio via mare verso Chios. Lo stesso passaggio in cui sono morte più di 300 persone solo nell’ultimo anno. Con 15 volte tanto puoi permetterti una «luna di miele» a New York. «Molte famiglie vendono tutto quello che hanno – spiega padre Bouzouzi – per pagare i trafficanti».

Da Neos Kosmos ne sono passate 150 solo dall’estate scorsa: da qualche giorno insieme a Mayda e Hasam è arrivata anche una vedova con 12 figli. «Si fermano qui qualche giorno, uno o due mesi al massimo – spiega padre Bouzouzi – a volte solo il tempo di celebrare una Messa tutti insieme». Insieme cristiani e musulmani uniti in preghiera. «Hanno perso la fiducia in tutto e tutti – dice padre Bouzouzi – ma non in Dio».

Nei primi tre mesi dell’anno, secondo i dati Unhcr, 137.891 migranti hanno attraversato il Mar Egeo diretti in Grecia, per lo più da Siria (52%), Afghanistan (25%) ma anche Iraq e Iran. Il 62% sono donne e bambini (40%). «Ora la situazione si sta complicando – spiega padre Bouzouzi che manda avanti il centro di accoglienza grazie all’aiuto della Caritas Hellas, il sostegno della Caritas Italiana con l’iniziativa dei Gemellaggi solidali tra diocesi, oltre al calore di una famiglia della comunità Papa Giovanni XXIII e di alcuni volontari –: la frontiera verso Fyrom (la Macedonia ndr) è chiusa da un mese. E da Lesbo gli sbarchi non si sono fermati nonostante l’accordo tra Turchia e Ue. Ci dobbiamo preparare a un soggiorno molto lungo qui».

In questo momento sono circa 40 mila i migranti accolti in Grecia: molti in campi di fortuna nella sala d’attesa del porto del Pireo (4 mila) non solo a Idomeni (20 mila nell’area). I campi allestiti nelle basi militari sono pieni e alcuni sindaci si stanno attrezzando per l’accoglienza diffusa come nel vicino centro di Lamia. I migranti fermi in Grecia dovranno presentare qui la domanda di asilo: se al termine dell’iter non fosse accolta saranno rimandati in Turchia. «Delle 150 famiglie accolte, solo due hanno fatto richiesta di asilo qui ad Atene, tutte vogliono andare in Germania» dice padre Bouzouzi.

Anche Hasam e Mayda sognano la Germania, la loro rinascita: «Vorrei terminare i miei studi lì – dice Hasam – e poi tornare in Siria». In tasca ha già un biglietto del bus per Idomeni.

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