Il cuore di una donna
va oltre la festa dell’8 marzo

di Mara Azzi

Caro direttore, sono una donna, moglie, madre, lavoratrice. Sono il direttore generale dell’Asl di Bergamo, e pensando alla «Festa della donna» mi chiedo cosa significhi questa giornata per me.

Caro direttore,
sono una donna, moglie, madre, lavoratrice. Sono il direttore generale dell’Asl di Bergamo, e pensando alla «Festa della donna» mi chiedo cosa significhi questa giornata per me.

Tutte le feste sono significative solo se le viviamo tutti i giorni, e l’attenzione, il rispetto, la comprensione dei problemi delle donne - ma non solo delle donne - ci accompagnano sempre. Fare una distinzione «di genere» nell’approccio alle persone significa compiere una discriminazione che non ha senso e che, al contrario, insinua l’idea di un «diverso» che ha bisogno di tutela. Favorire la consapevolezza delle donne e del loro valore, significa festeggiarle non solo l’8 Marzo, ma metterle in condizione di credere in loro stesse e di rapportarsi al mondo con tutta la loro ricchezza, che è diversa, ma non meno importante, di quella del genere maschile.

Il valore del «materno», che prescinde dalla maternità e che è insito in ogni donna, rappresenta il modo nel quale le donne affrontano i problemi della vita familiare e quelli del lavoro: quel «qualcosa in più» che spesso completa anche la più grande preparazione professionale. Nella donna – scriveva quasi due secoli fa lo scrittore tedesco Jean Paul Richter – ogni cosa è cuore, anche la testa. Ecco perché non suona poi così strana nemmeno la tesi che il Fondo monetario internazionale sostiene proprio in questi giorni, secondo cui una maggior partecipazione delle donne al mercato aiuterebbe l’economia globale a crescere. E lo fa portando numeri concreti: con più donne al lavoro il Pil americano crescerebbe del 5%, quello Giapponese del 9%, quello degli Emirati Arabi Uniti del 12%. E i risultati maggiori si avrebbero nelle economie emergenti, dove ci sono 812 milioni di donne che hanno il potenziale di contribuire pienamente alle loro economie, su un totale globale di 865 milioni. Dati che fanno riflettere, non semplici numeri.

Ma deve essere la consapevolezza delle proprie capacità di donna e la fiducia in se stessa la condizione essenziale per non essere discriminata. La femminilità e la bellezza vissute in maniera positiva, e non in antitesi all’intelligenza, sono uno stimolo a trovare un giusto spazio nel mondo, ad avere un proprio ruolo professionale che si integra con il genere maschile senza porsi in contrapposizione.

Molte difficoltà vengono superate credendo nelle proprie potenzialità, poiché questo è il primo passo per farsi rispettare e per acquisire autorevolezza, non rinunciando mai alle caratteristiche del genere femminile, anche quando si ricoprono incarichi normalmente ricoperti dagli uomini, e che fanno la vera differenza con il genere maschile. Non credo che sia corretto fare paragoni o graduatorie di merito, e dunque non so se sia meglio o peggio, ma quello che ho cercato di fare nel mio ruolo di direttore dell’Asl è di dare un’impronta di particolare attenzione al mio prossimo - utenti, colleghi, collaboratori - per favorire un clima di benessere generale delle persone tra le persone, con un’attenzione alle situazioni, anche alle più semplici, apparentemente poco importanti per l’economia aziendale ma che fanno la differenza sul risultato finale: la qualità della relazione con tutti, a prescindere dal genere.

Insomma, caro direttore, ben venga anche la «Festa dell’8 Marzo», purché - una volta per tutte - si vada oltre l’aspetto commerciale (lasciamolo, per carità, con l’aria che tira…) per rendersi finalmente conto che, come diceva Mark Twain, «l’umanità senza la donna sarebbe scarsa. Terribilmente scarsa».

*Mara Azzi, direttore generale dell’Asl di Bergamo

© RIPRODUZIONE RISERVATA