I due poliziotti uccisi a Dalmine:
dopo 38 anni il ricordo è sempre vivo

Nemmeno la neve caduta abbondante la notte precedente è riuscita ad attutire il ruggito del traffico fuori dal casello autostradale di Dalmine. Ma forse, per commemorare due giovani uomini morti perché stavano facendo il proprio dovere, il silenzio non è abbastanza.

Ci vogliono i sobbalzi del traffico pesante che rimandano a quella infame sparatoria. Ci vogliono le frenate delle auto che ricordano con il loro stridore quanto ingiusto sia stato quel sacrificio. Ci vogliono gli occhi lucidi di chi quei due poliziotti li amava. E ci vuole lo scuotimento di testa di chi non li ha mai incontrati, anche se indossa quelle stesse divise.

A Dalmine 38 anni fa morivano in uno scontro a fuoco con la banda Vallanzasca due poliziotti della stradale, Luigi D’Andrea e Renato Barborini. Venerdì 6 febbraio tra Dalmine e Bergamo sono stati diversi i momenti organizzati per ricordarli. Il primo, al mattino alle 10,30 fuori dal casello di Dalmine. Una cerimonia semplice dove sorge il monumento eretto alla loro memoria, lì dove morirono nel 1977. Presenti le autorità civili, tra cui il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, quello di Dalmine Lorella Alessio, l’assessore regionale Claudia Terzi, il deputato del Partito democratico Antonio Misiani, il prefetto Francesca Ferrandino e il questore Fortunato Finolli.

C’era il picchetto d’onore in divisa con la presenza dai vertici della polizia, dei carabinieri, della polstrada e altre forze dell’ordine. Davanti al monumento i parenti degli agenti uccisi: la moglie di D’Andrea, Gabriella Vitali, e il fratello di Barborini, Alberto Barborini, venuto da Trento. Emozionate il momento del «Silenzio» suonato dal trombettista a cui sono seguite le preghiere di don Giulio Marchesini, assistente spirituale della polizia al servizio della questura di Bergamo.

La seconda cerimonia, alle 14,30 al famedio del cimitero di Bergamo. Lì dove riposano gli illustri rappresentanti della città e dove sono state trasferite le spoglie di D’Andrea. Accanto alle targhe commemorative per Angelo Roncalli, Francesco Nullo, Donato Calvi, Simone Mayr, Arcangelo Ghisleri per citarne alcune, da ieri c’è n’è una in più: quella dedicata a Luigi D’Andrea, medaglia d’oro al valore civile. Anche qui tante istituzioni.

Era presente anche il vescovo Francesco Beschi. Toccante il discorso del presidente del Consiglio comunale di Bergamo Marzia Marchesi, che ha ricordato Luigi D’Andrea citando le parole che Sandro Pertini ha usato per il maresciallo quando lo ha insignito della medaglia al valore civile: «Con ferma e coraggiosa determinazione non esitava a reagire prontamente con la propria pistola d’ordinanza. Ma nel corso del conflitto a fuoco che ne seguiva, cadeva mortalmente colpito. Luminoso esempio di assoluta dedizione al dovere spinta fino all’estremo sacrificio».

Un esempio, ha continuato la Marchesi, «che deve stare con le persone eccellenti in questo luogo eccellente. Lui, che è stato un poliziotto nell’animo». La vedova, Gabriella Vitali, commossa e orgogliosa ha ringraziato: «Avete fatto un grande regalo non a me, ma alla memoria di un uomo in divisa che è stato ucciso solo per aver compiuto il suo lavoro. Questo gesto rende grande Bergamo. Ringrazio l’Amministrazione, ringrazio la mia città. Questo riconoscimento a un uomo di Stato è un riconoscimento anche a tutti quelli che oggi indossano una divisa».

Le ultime parole sono quelle del vescovo Beschi, che durante la benedizione ha rivolto una preghiera affinché «il maresciallo D’Andrea abbia la pace dei giusti, i suoi famigliari il giusto conforto, le forze dell’ordine dalla loro parte sempre la forza della legge. E che tutti i cittadini seguano le vie della fratellanza e della legalità».

Gloria Vitali

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