Everest, Merelli rinuncia alla cima

La «cumbre» dell’Everest - come la chiamano loro, gli alpinisti- dovrà attendere ancora un po’. Il sogno di Mario Merelli è terminato oggi a 8.600 metri di quota, alle 5 ora locale. Quando ormai il più era fatto, ci verrebbe da commentare, ma sappiamo che non è così: duri, e ancora tanto, quegli ultimi passi sul tetto del mondo, dove ogni cosa è difficile, persino respirare.

L’alpinista bergamasco la cima dell’Everst la può in verità già vantare: l’aveva raggiunta nel 2001 insieme a Silvio Mondinelli e alla basca Edurne lungo la via sud; sfumati rispettivamente nel ’99 e nel 2000 alti due tentativi da nord, sulla stessa via risalita questa volta, nell’ambito del progetto «K2 2004». Mario aveva lasciato Campo 3 pochi minuti dopo la mezzanotte, insieme all’amico Mario Panzeri, di Lecco, ai valdostani Alex Busca e Claudio Bastrentaz e al gardenese Karl Unterkirker: tutti intenzionati a raggiungere la vetta rigorosamente senza ossigeno, come piace a loro, ai puri, che la cima non a vogliono a tutti i costi.

Si spiegano così le parole dell’alpinista di Lizzola subito dopo la rinuncia alla cima e la decisione di tornare giù: «All’Everest ci sono ora qualcosa come 600 alpinisti - racconta senza amarezza, ma con un orgoglio che non nasconde la sfiducia - e per tanti di loro l’unico obiettivo è arrivare in vetta: non importa come. Per me non è così, come non lo è per gli altri amici che hanno condiviso questa faticaccia. La montagna ha la sua etica, che noi tutti dobbiamo rispettare, al di là dei sogni. So che abbiamo fatto una cosa grande: 8.600 metri sono una quota di tutto rispetto da raggiungere in 5 senza ossigeno. Sono le nostre prove generali per il k2: e il test è stato ottimo». E come gli si può dar torto? Tutti e cinque sono infatti stati chiamati da Agostino da Polenza con il duplice impegno di salire tutti e due i colossi himalayani, visto che oltre all’Everest Mario, insieme ad Alex e Karl tenteranno la salita del K2 da sud, mentre Panzeri e Cludio la via da nord.

Ma non è tempo di fare progetti per il domani. Bisogna vivere l’oggi. Mario non ha deciso di mollare, non solo per sé ma per la sua squadra. «Quando siamo arrivati a 8600 metri abbiamo visto nuvoloni che arrivavano dal Makalu. Abbiamo avuto paura: non volevamo rimanere intrappolati. Avevamo appena visto il corpo di uno sherpa accovacciato, quasi nel tentativo di trovare rifugio, lì forse dallo scorso anno. Insieme a noi anche Lhaki, la giovane alpinista del gruppo tibetano, incaricata con gli sherpa di trasportare in alto la strumentazione scientifica per le misurazioni. Loro l’ossigeno l’avevano, ma il brutto tempo non risparmia nessuno». Da qui la decisione, comunicata per radio a Soro Dorotei, capo spedizione pro tempore, sino all’arrivo in Himalaya di Agostino Da Polenza. Un capo che condivide in pieno la scelta dei suoi uomini.

Ora la squadra al completo si è stretta attorno a Mario e agli alpinisti che hanno avuto il merito del primo tentativo. Tutti infatti sono ora al campo base avanzato, dove il gruppo si è ricomposto a metà pomeriggio. Forse già mercoledì la partenza di una nuova squadra verso i campi alti.

(17/0572004)

Paola Valota

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