Cronaca
Martedì 18 Marzo 2014
Due anni lontano da cariche pubbliche
La Cassazione conferma l’interdizione
Niente da fare per il tentativo dei difensori di Silvio Berlusconi di bloccare il passaggio in giudicato della pena accessoria dell’interdizione per due anni dai pubblici uffici per l’ex premier, condannato nel processo Mediaset.
Niente da fare per il tentativo dei difensori di Silvio Berlusconi - gli avvocati Franco Coppi e Niccolò Ghedini - di bloccare il passaggio in giudicato della pena accessoria dell’interdizione per due anni dai pubblici uffici per l’ex premier, condannato nel processo Mediaset, chiamando in causa la Corte dei diritti umani di Strasburgo.
La Terza sezione penale della Cassazione - presieduta da Claudia Squassoni - non ha infatti tenuto in alcun conto questa richiesta e ha bocciato tutto il ricorso allestito dalla difesa di Berlusconi contro la condanna emessa dalla Corte di Appello di Milano lo scorso 19 ottobre su rinvio della stessa Suprema Corte che, il primo agosto, aveva chiesto di rideterminare al ribasso l’originaria pena accessoria pari a cinque anni. La sanzione «collaterale» faceva da corollario ai quattro anni di reclusione inflitti al «Cav» per frode fiscale (tre condonati).
«Prendiamo atto con grande amarezza della decisione della Cassazione - ha commentato Ghedini -: avremmo ritenuto quantomeno necessario un approfondimento presso la Corte Europea di Strasburgo». L’asso nella manica del ricorso alla Cedu era stato calato senza troppa convinzione, in extremis, proprio nel corso dell’udienza e si basava su un verdetto Ue che il 4 marzo ha dato ragione a Franzo Grande Stevens, uomo di fiducia della famiglia Agnelli, che lamentava la non sovrapponibilità di sanzioni accessorie penali ulteriori rispetto a quelle, pesanti, comminategli dalla Consob nella vicenda Ifil-Exor.
Per Coppi e Ghedini questo significava che anche per il «Cav» non si può applicare una doppia sanzione accessoria, la decadenza prevista dalla legge «Severino» e l’interdizione stabilita dalla legge speciale in materia tributaria.
Ma gli «ermellini» non hanno evidentemente ritenuto assimilabili i due casi. Hanno inoltre dichiarato «irrilevanti» anche le questioni di illegittimità costituzionale delle norme che, ad avviso della difesa, non avrebbero consentito a Berlusconi di pagare il debito fiscale in quanto non era legale rappresentante delle società Mediaset coinvolte. In questo modo il «Cav» - questo il diritto leso lamentato dai difensori - non ha potuto evitare la pena accessoria in mancanza di un atto di «ravvedimento operoso». Ma già il Sostituto procuratore generale della Cassazione Aldo Policastro, nella sua requisitoria, aveva messo in evidenza che «nessuna norma tributaria avrebbe impedito a Berlusconi di adempiere al debito tributario o di influire sulle decisioni delle sue società per spingerle a questo adempimento.Tuttora l’estinzione di questo debito non è avvenuta!».
Per Policastro, i giudici di Milano «hanno esattamente indicato in base a quali criteri è stata rimodulata l’interdizione richiamandosi alla estrema gravità del fatto accertato a carico di Berlusconi, del dolo intenzionale e del duraturo sistema di evasione messo a punto». L’esito della decisione della Cassazione era apparso scontato fin dall’inizio, e nessuno nutriva grandi speranze di successo.
Breve l’arringa di Ghedini. Più articolata quella di Coppi che ha insistito nel sostenere la «illecita cumulazione di sanzioni penali per uno stesso fatto illecito». Prima dell’udienza Mediaset, la Terza sezione penale si è occupata di un caso di omicidio a Massa Carrara e subito dopo del processo a un bidello di Piana degli Albanesi per abusi su sette bambini. In tutto ci sono stata 35 cause da decidere. In quattro ore gli ’ermellinì hanno preso le loro decisioni
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