Cronaca / Bergamo Città
Mercoledì 25 Marzo 2015
Drone «spara» acqua nelle nuvole
Speranze e dubbi sul test anti siccità
Un team del Nevada Desert Research Institute sta sviluppando un drone per stimolare precipitazioni. Il meccanismo consiste nel sollecitare la pioggia attraverso particelle di ioduro d’argento e, dai primi esperimenti, è stato appurato che ha prodotto il 10% di pioggia in più. Ma non tutti sono convinti dell’efficacia dei test.
Si è sempre associato il termine «drone» al linguaggio militare. Eppure proprio mutuando il concetto, anche la ricerca scientifica si sta avvalendo di queste tecnologie per trovare le giuste contromisure ai cambiamenti climatici. In particolare per quanto riguarda l’avanzare dei fenomeni di siccità che rendono l’acqua una risorsa ancor più preziosa. Ecco cosa è stato sperimentato dai ricercatori del Nevada Desert Research Institute.
È quanto riporta In a Bottle (www.inabottle.it) sull’innovazione applicata alla sostenibilità. Progettato per aiutare le regioni del mondo potenzialmente tormentate dalla siccità, il drone costruito dagli scienziati americani permette di «mettere più acqua nelle nuvole». Ha spiegato Jeff Tilley, a capo del team di ricerca: «Attraversi questo aereo senza equipaggio riusciamo a sparare sulle nuvole particelle di ioduro d’argento che facilitano il formarsi della pioggia». Il processo viene comunemente definito «cloud seeding», ovvero inseminazione delle nuvole. «Per ogni 25-45 ore di volo – ha affermato Tilley – questo drone è in grado di sollecitare quasi un miliardo di litri d’acqua, quantità pari a circa il 10% del normale volume di pioggia che avviene in una precipitazione».
L’alta tecnologia unita all’analisi e alla tutela delle risorse naturali ha trovato applicazione in Italia nel progetto «Levissima Spedizione Ghiacciai». Lo studio vede impegnati gli studiosi dell’Università di Milano in alta Valtellina, dove l’obiettivo è studiare la fusione glaciale con le migliori attrezzature di rilevamento aereo, l’occhio tecnologico di un satellite Nasa per acquisire immagini ad altissima risoluzione e una stazione meteorologica all’avanguardia che acquisisce dati energetici.
«È da più di 80 anni che si conosce il potenziale meccanismo di formazione della goccia d’acqua – spiega l’esperto meteo bergamasco Roberto Regazzoni –: le prime prove le facevano con le fumigazioni di sale d’argento o col ghiaccio secco, i migliori sono stati gli israeliani, nel deserto del Negev. Che poi sopra ci vada un aereo, come si faceva nei primi esperimenti, o che ci vada un moderno drone telecomandato, poco cambia, per far piovere sui deserti, servono sempre e comunque nubi e umidità, e i numeri che danno della pioggia possibile, sono pura teoria».
«Per caso – prosegue Regazzoni – una nuvola è in grado di ritornare indietro, prima e dopo un esperimento, per poter dire e dimostrare che di pioggia ne ha prodotto il 10% in più?».
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