Dopo l’incidente la seconda vita
Gisella in lizza per donna dell’anno

di Fabiana Tinaglia
Gisella Aschedamini è una delle tre donne in lizza per il premio internazionale «Donna dell’anno 2014». Dopo la tragedia che ha colpito la sua famiglia, sterminata in un incidente stradale vent’anni fa, ora sta vivendo una seconda esistenza a sostegno del prossimo.

È in lizza per il premio internazionale «Donna dell’anno 2014», un riconoscimento che ha come promotrice la Regione Valle d’Aosta ma che spazia nel mondo alla ricerca di donne meritevoli, con il patrocinio del Ministero degli Esteri. Ma lei, sempre con il suo modo schivo e sincero, mette subito le mani avanti: «Ci sono donne più degne di me sulla Terra».

Gisella Aschedamini è prima di tutto uno spirito libero, una che è stata temprata dalla vita e che, dopo tanto dolore, ha imparato a restituire amore. «Stringetemi forte e aiutatemi ad essere disponibile verso tutti» è una frase che la 62enne di origine cremasca, ma a Bergamo dal 1965, scrive e ripete spesso, riferendosi al marito Gianfranco Burini, le figlie Federica e Silvia, rispettivamente di 16 e 7 anni, e la nipote Daniela Poma, di 17 anni, morti in un terribile incidente stradale avvenuto 20 anni fa.

La data è il 3 settembre 1994 e Gisella con la sua famiglia era diretta verso una settimana di vacanza: l’auto sbanda e finisce sotto un camion fermo in una piazzola di sosta all’altezza di Lonato, nel Bresciano. La cintura di sicurezza di Gisella si spezza e lei viene catapultata fuori dal veicolo mentre tutto il resto della famiglia morirà tra le lamiere. «Ne parlo ogni giorno, quando vado in giro per oratori e centri d’Italia a portare un messaggio di speranza e di forza». Piange anche tanto Gisella, le labbra si serrano, e sotto gli occhiali non puoi non notare quella commozione, quel dolore infinito: «Che ti può spezzare il cuore - racconta -. Io lo pensavo, di diventare matta, di impazzire dalla sofferenza. Anche di farla finita con questa vita: troppa rabbia, troppa disperazione. Ero un morto che camminava». E proprio un ragazzino nei giorni scorsi, in un incontro all’oratorio di Treviglio, gliel’ha chiesto: ti sei chiesta perchè tu sei sopravvissuta? «E io lo so, il motivo - continua -: ho un percorso da seguire, una seconda vita a servizio del prossimo. Certo, volevo farla finita, ma poi ho capito che avrei creato altro dolore. Penso che tutti avrebbero accettato il mio gesto estremo, ma io, che sapevo cosa voleva dire il dolore, non dovevo e potevo essere responsabile di altra sofferenza».

E parole così dure e poco scontate Gisella te le dice con calma, scandendo parole che sono pugni nello stomaco. «Ho passato tre mesi senza piangere: ero attonita, infelice, ma non piangevo. Ora piango e parlo, perchè il dolore deve essere trasformato in amore. E opere di bene: altrimenti non si vive, si sopravvive». La tragedia l’ha plasmata, l’ha fatta rialzare per vivere una seconda vita, percorrere una nuova strada: insieme a lei Vittorio Pellegrini, sposato nel 1997 ed ex primario in Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di Alzano, anche lui con un percorso di vita tortuoso dopo la perdita della moglie Romana Licini, scomparsa prematuramente. «Vittorio è un uomo ricco di energia e di vita, un’ancora di salvezza, ricco di entusiasmo e di amore verso il prossimo» lo racconta Gisella.

Le loro esistenze, entrambe colpite dalla sofferenza, hanno un comune denominatore: sopravvivere alla morte. Imparano così ad essere utili agli altri, con un’attenzione verso la popolazione del Bangladesh, conosciuta durante il loro viaggio di nozze. E proprio questa attività potrebbe ora valere a Gisella il premio di donna dell’anno. «Dal 1997 ci rechiamo ogni anno per un lungo periodo in Bangladesh per portare aiuti di ogni genere, verificare le necessità delle opere realizzate, progettare nuovi interventi – spiega -. Forniamo strumenti e materiale medico nelle strutture sanitarie, abbiamo creato una vasta catena di adozioni a distanza per circa 700 bambini, abbiamo costruito una decina di scuole e seguiamo con particolare cura e predilezione le bambine, poiché il Bangladesh è un paese molto maschilista».

Quattro gli orfanotrofi realizzati, sostenendo la scolarizzazione delle ragazze, Gisella tiene molto anche ai tre centri di ricamo e cucito da lei promossi, oltre ad essersi occupata con il marito alla realizzazione di ambulatori medici e di maternità dove Vittorio ha operato per lungo tempo fino a quando si è ritirato dalla professione. Questo mentre Gisella in Italia segue «le donne italiane che hanno perso dei figli, ma anche quelle che offrono o cercano lavoro» continua lei, senza sosta e con una vitalità incredibile, una forza d’animo che toglie il respiro: nel 2012 è nata anche l’associazione Gisella e Vittorio Pro-Missioni Onlus (per info 339/5657406) e lo sforzo è continuo: «Un grande sostegno, un abbraccio di umanità e di parole senza fine lo devo a Monsignor Ilario Girelli, padre spirituale dell’Associazione Genitori figli in cielo» ricorda.

Ora, ad appoggiare la sua candidatura in questo premio internazionale, anche il Pime (l’Istituto pontificio Missioni estere), con cui la bergamasca opera dal 1997i, il club di Bergamo del Soroptimist Internazionale d’Italia, la Federazione internazionale Donne Arti, Professioni e Affari, Il laboratorio Donne e Politica Politeia di Bergamo, oltre al gruppo «Più donna» e alla biblioteca di Saint Christophe, di Gignod e de La Thuile, unitamente ai loro sindaci. Tra le motivazioni pervenute: «Gisella è riuscita a trasformare la tragedia e la morte nella sua vita in propulsore per quella di altre donne, dando loro un futuro. C’è nella sua storia il riscatto di una donna piegata dall’assenza di futuro». Ma lei ripete: «Quando mi hanno proposto di segnalare il mio nome per il premio della “Donna dell’anno” ho pensato di non avere i requisiti e di non meritarmi tanta stima. Poi mi hanno spiegato e letto le finalità del premio e ho pensato che servirebbe tanto alle mie bimbe, ragazze, donne e famiglie che ho in Bangladesh, paese tanto meraviglioso quanto povero. Allora ho pensato che se questo mio impegno può essere condiviso da altre donne, associazioni, enti istituzionali, il mio obiettivo di dare amore e solidarietà è raggiunto».

Dopo una selezione tra una ventina di nominativi, sono candidate con lei altre due donne (un’altra italiana e una straniera,lo scorso anno ha vinto una giornalista congolese), il primo premio, assegnato per merito, sarà ufficializzato l’8 marzo e darà diritto a 30 mila euro, mentre il secondo premio, di 10 mila euro, andrà alla donna più votata on line sul sito www.consiglio.vda.it fino al 7 marzo. «Spero che la comunità bergamasca mi voti: nel caso io sia scelta, il premio sarà interamente utilizzato per ristrutturare i centri di ricamo in Bangladesh e sostenere le popolazioni bisognose» dichiara Gisella. Che spiega anche questo continuo dover mettersi in moto per gli altri: «Mi sento amata, e le persone devono imparare ad amare e a sentire l’amore. Solo così si può continuare a vivere». Questo mentre non può non continuare a parlare delle sue figlie o di quando con il marito «ci siamo guardati la prima volta negli occhi e ci siamo amati per sempre. Io faccio rivivere i miei cari nella mia mente e nel mio cuore». Piange Gisella, e non puoi fare a meno di capire, di sentire quell’immensa disperazione, e di capire il suo cuore spezzato di mamma: «Quante telefonate di pseudo-santoni misticheggianti ho ricevuto dopo la morte delle mie figlie: mi dicevano che avevano messaggi dalla mia Federica che dovevano riferirmi. Ho sempre riattaccato il telefono: Federica e Silvia, se hanno qualcosa da dirmi, non hanno bisogno di mediatori». E poi aggiunge:«Lo devo dire, perchè l’ho pensato più volte: se in questo momento il Signore mi chiamasse, direi all’istante che sono pronta. E se me lo avesse chiesto il 3 settembre di 20 anni fa gli avrei detto: “prendi me”. Poi leggo Giobbe, quando Dio gli domanda: «Chi sei tu per darmi consiglio?”. Allora mi fermo».

Questa è Gisella. La sua filosofia di vita è finita anche in 5 libri autobiografici, le cui vendite hanno superato le 80.000 copie. Il testo più significativo è «Io vivo perché amo» che rimanda a quel mantra a lei così caro. Che ogni giorno le fa rialzare la testa e vivere immensamente la sua vita. n

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