Cronaca
Mercoledì 30 Aprile 2014
Dolce e Gabbana, condanna bis
Patelli 1 anno e 6 mesi in Appello
«Valuteremo con attenzione le motivazioni della Corte d’Appello e proporremo ricorso in Cassazione». Lo hanno spiegato gli avvocati di Luciano Patelli, il commercialista condannato a un anno e 6 mesi per evasione fiscale assieme agli stilisti Dolce e Gabbana.
Non è bastata la difesa di quella «impresa moderna» e di quei due «creativi impegnati tra stoffe e modelli e non a gestire schemi di abbattimento fiscale» risuonata in aula per bocca del sostituto procuratore generale Gaetano Santamaria Amato, in quella requisitoria che era sembrata quasi un’arringa.
Mercoledì 30 aprile, infatti, i giudici della Corte d’Appello di Milano, malgrado la richiesta di assoluzione arrivata dal rappresentante dell’accusa, hanno confermato le condanne per evasione fiscale a carico di Domenico Dolce e Stefano Gabbana, abbassando soltanto la pena di due mesi per la prescrizione di parte delle contestazioni e portandola a un anno e 6 mesi per entrambi (pena sospesa).
Non è ancora finita, dunque, la vicenda giudiziaria che vede coinvolti ormai da qualche anno i due fondatori della multinazionale della moda D&G perché, dopo che in passato per gli stilisti erano già arrivate le assoluzioni poi annullate dalla Cassazione, si profila un terzo grado di giudizio. «Sono senza parole, sono allibito, è inspiegabile e ricorreremo di sicuro in Cassazione» ha commentato a caldo dopo la sentenza l’avvocato Massimo Dinoia, legale di Dolce e Gabbana.
Il collegio della seconda sezione, presieduto da Laura Cairati, ha confermato anche la condanna per il commercialista Luciano Patelli (» roporremo ricorso in Cassazione» hanno spiegato i legali Bana e Cagnola), portandola anche questa da un anno e 8 mesi a un anno e 6 mesi, e quelle per altri tre manager del gruppo (da un anno e 4 mesi a un anno e 2 mesi), tra cui Alfonso Dolce, fratello di Domenico. Al centro del processo una presunta evasione fiscale che sarebbe stata realizzata, secondo le indagini dei pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, con una cosiddetta ’estero-vestizionè: la creazione nel 2004 della società Gado srl per ottenere vantaggi fiscali in relazione alle royalties sui marchi del gruppo. La cifra contestata all’inizio delle indagini di un miliardo di euro si era ridotta con la sentenza di primo grado del 19 giugno scorso a circa 200 milioni di euro e le condanne erano arrivate solo per il reato di omessa dichiarazione dei redditi. E oggi la Corte d’Appello ha in sostanza confermato quella sentenza, ossia l’evasione fiscale su quei 200 milioni di euro di imponibile della Gado, riducendo le pene perché ha dichiarato la prescrizione per i fatti di presunta evasione relativi al 2004. A sorpresa, invece, il sostituto pg Santamaria Amato, lo scorso 25 marzo, aveva accantonato l’impianto accusatorio della Procura e aveva chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» per i due stilisti sulla base dell’interpretazione di una sentenza della Cassazione e delle normative fiscali. Una requisitoria accompagnata, tra l’altro, da una serie di frasi forti per difendere quella «operazione perfettamente» lecita.
Dolce e Gabbana hanno pensato in grande - ha detto il pg - come un grande gruppo in espansione nel mondo, pensavano alla quotazione in Borsa per porsi alla pari degli altri grandi gruppi nel settore» Tra l’altro, nel 2011 i due stilisti e gli altri quattro imputati erano stati assolti, ma poi la Cassazione aveva annullato i proscioglimenti e un nuovo giudice li ha mandati a processo. Poi sono arrivate le condanne, confermate oggi dalla Corte d’Appello dopo sei ore di camera di consiglio (motivazioni attese per il 20 giugno). Lo scorso luglio, inoltre, dopo la sentenza di primo grado c’era stata anche una lunga «querelle» tra il Comune di Milano e i due fondatori della multinazionale, dopo le parole dell’assessore al Commercio Franco D’Alfonso, secondo cui l’amministrazione non avrebbe dovuto concedere spazi a evasori come loro. Frasi a cui Dolce e Gabbana avevano reagito con una serrata di tre giorni delle loro boutique in città.
Con il verdetto di mercoledì, infine, è stato confermato anche il risarcimento di 500mila euro per «danno morale» a favore dell’Agenzia delle Entrate e a carico dei due stilisti, anche «condannati» a versare nel marzo 2013 nel procedimento tributario (il giudizio pende in Cassazione) oltre 343 milioni di euro tra imposte e sanzioni, più gli interessi.
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