Prima udienza alla Corte d’Appello di Brescia del processo di secondo grado per l’omicidio di Hina Saleem, la ragazza uccisa nell’agosto del 2006 a Sarezzo, nel bresciano, e che da qualche tempo conviveva con Giuseppe Tempini, un 33enne originario di Costa Volpino.In primo grado per l’omicidio erano stati condannati a trent’anni di carcere il padre e i due cognati di Hina, a due anni lo zio. I giudici hanno respinto le richieste dell’avvocato Paola Savio, legale del padre della ragazza, riguardanti una perizia psichiatrica del proprio assistito, un altro sopralluogo sul luogo del delitto, accertamenti medico-legali su una ferita sul corpo di Hina che a secondo il pm potrebbe non essere stata fatta dal padre, e altri accertamenti sull’arma del delitto relativamente a una traccia organica non appartenente al padre.L’avv. Savio ha spiegato che la perizia «non è finalizzata a ottenere una infermità mentale, ma un approfondimento, ad esempio sulle motivazioni che hanno portato al gesto. Secondo il gup si è trattato di una punizione da parte del padre musulmano, invece potrebbe essere stato un gesto di disperazione da parte di un uomo che non riusciva a recuperare la figlia».L’avv. Loredana Gemelli, legale di Giuseppe Tempini, il fidanzato di Hina, ha replicato con fermezza a proposito delle richieste: «il padre ha sempre detto che Hina era una cattiva musulmana e adesso viene a dirci che lui è pazzo. Ricordatevi poi che questo è un delitto deciso da un consiglio di famiglia firmato a più mani».(21/11/2008)
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