Delitto di Brescia, i retroscena:
i locali e il tesoretto delle vittime

Gli inquirenti l’hanno ribadito più volte in conferenza stampa: gli aspetti da chiarire sono ancora numerosi.

E mentre mercoledì è in programma l’interrogatorio di convalida dei due immigrati fermati (sono difesi d’ufficio dall’avvocato Claudia Romele, del Foro di Brescia, che lunedì mattina ha incontrato Sarbjit Singh e Muhammad Adnan in carcere, ottenendo da entrambi la stessa «versione dei fatti già fornita agli inquirenti»), la Mobile della questura bresciana sta scavando ancora a fondo nella vicenda, in particolare nei rapporti tra le vittime e il pakistano che, in un italiano stentato – lo stesso utilizzato davanti alle tv quando, poche ore dopo il duplice delitto, incolpava la polizia di essere assente dalla zona e rispondeva di non conoscere Frank.

Al centro dell’attenzione degli inquirenti ci sono invece proprio le attività commerciali che gravitano attorno a quella zona, il quartiere Mandolossa a ovest di Brescia. Lì Seramondi era presente già da anni con un suo primo locale, «Dolce e salato», mentre contemporaneamente ne gestiva un secondo, e aperto in precedenza, a San Polo, altro quartiere bresciano.

L’8 luglio del 2011, come emerge dalle informazioni in possesso alla Camera di commercio di Brescia, Seramondi vendeva l’attività commerciale a un suo ex dipendente pakistano, avendo il bresciano nel frattempo aperto, proprio lì di fronte, il «Da Frank».

Nel giro di qualche mese, però, il «Dolce e salato» nella nuova gestione fallisce e il pakistano titolare cede l’attività – pare per la somma di 700 mila euro – proprio al suo connazionale che avrebbe poi ammazzato Seramondi: siamo al 26 gennaio del 2012. Proprio Adnan, come poi scoperto dalla polizia (che lo denunciò), diede fuoco all’originario «Dolce e salato», aprendo nel contempo un omonimo locale (aperto fino a sabato scorso, prima del suo arresto) nella via alle spalle di quello andato a fuoco. Un locale che, nella sua confessione, Adnan ha lamentato «vendere di meno di Frank».

Intanto, però, il giornalista Mediaset Enrico Fedocci ha reso noto un dettaglio non secondario ma che gli inquirenti non hanno voluto commentare: a casa dei Seramondi sarebbero stati trovati centinaia di migliaia di euro in contanti: un vero «tesoretto». Ma di che soldi si tratta? Gli stessi investigatori stanno cercando di capirlo.

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