Defibrillatore più piccolo al mondo
impiantato al «Papa Giovanni»

Per la prima volta al mondo, al Papa Giovanni XXIII, é stato impiantato un minidefibrillatore ad un paziente pediatrico e la stessa équipe ha iniettato un micro loop recorder a un bambino di due anni e mezzo: misura meno di un centimetro.

È una ragazzina affetta da tachicardia ventricolare la paziente a cui è stato impiantato per la prima volta il defibrillatore più piccolo e più sottile al mondo. «La paziente ha 14 anni e viene da una famiglia straniera che ha già perso per morte improvvisa le due sorelline. Gli accertamenti condotti per capire l’origine dell’affanno che la colpiva al minimo sforzo, hanno evidenziato una pericolosa tachicardia ventricolare. Abbiamo avviato una terapia farmacologica per controllare le aritmie, ma sappiamo che i farmaci da soli non risolvono completamente il problema, lasciando la ragazzina esposta al rischio di episodi acuti potenzialmente fatali. Da qui la decisione di proteggerla con l’impianto del minidefibrillatore», commenta Paolo De Filippo, responsabile dell’Unitá di Elettrofisiologia ed elettrostimolazione cardiaca del Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Il dispositivo salvavita, in meno di un centimetro di spessore, è dotato di algoritmi avanzati per riconoscere e trattare aritmie cardiache, risultando praticamente invisibile nei bambini e nei soggetti molto magri.

Presentava un quadro aritmologico rarissimo il bimbo di due anni e mezzo arrivato a Bergamo per approfondire i disturbi elettrici cardiaci. Paola Ferrari, aritmologa che segue l’ambulatorio di Aritmologia Pediatrica, spiega come il ritmo cardiaco alternasse rallentamenti e accelerazioni ugualmente pericolose: «Nel nostro piccolo paziente coesistevano una spiccata bradicardia alternata a tachicardia. La prima dovuta alla malattia del nodo del seno, quello che potremmo definire il motore elettrico del cuore, la seconda a un flutter atriale. Questa condizione, rarissima nei bambini, rendeva la sola terapia farmacologica un approccio insufficiente e potenzialmente pericoloso. Grazie a un catetere inserito per via venosa la tachicardia è stata mappata e risolta con una procedura di ablazione».

Nel corso della stessa procedura è stato inserito sottopelle il mini loop recorder, un monitor cardiaco, molto più piccolo di una comune pila ministilo, iniettabile con una siringa. « Per consentire il rientro a casa del bimbo e allo stesso tempo il monitoraggio costante del ritmo cardiaco, abbiamo scelto di utilizzare il mini loop-recorder. Questo ci metterà a disposizione una serie di dati utili per valutare l’evoluzione della malattia» prosegue De Filippo. I dati immagazzinati vengono scaricati da un monitor esterno lasciato vicino al lettino del paziente e trasmessi una volta al giorno direttamente all’ospedale, utilizzando la tecnologia cellulare.

Il microchip sottocutaneo, presentato pochi giorni fa ed utilizzato finora solo sugli adulti, evita il ricorso a frequenti monitoraggi con dispositivi esterni (ECG Holter), poco graditi ai bambini così piccoli e che non offrono registrazioni altrettanto prolungate e realistiche. Inoltre i genitori del paziente hanno a disposizione una sorta di telecomando che invia i dati al Centro in caso di sintomi allarmanti.

L’Unità di Elettrofisiologia ed elettrostimolazione cardiaca del Papa Giovanni XXIII è specializzata nella diagnosi e nel trattamento delle aritmie cardiache negli adulti e nei bambini ed è Centro coordinatore del Registro europeo di ablazione pediatrica, nato nel 2012 per individuare uno standard di cure in una popolazione finora non adeguatamente rappresentata nelle linee guida internazionali. Ad oggi il Registro ha arruolato 107 pazienti e vi aderiscono altri cinque ospedali europei.

L’ablazione è una procedura mini-invasiva che, impiegando un catetere molto sottile che raggiunge il cuore per via femorale, «brucia» il tessuto miocardico responsabile dell’aritmia cardiaca. Due le varianti: con radiofrequenza e quindi con il calore o con il freddo; in quest’ultimo caso si parla di crioablazione. Utilizzata per la prima volta negli adulti nei primi anni ’80, ha rivoluzionato la gestione dell’aritmia cardiaca ed è stata estesa ai bambini nel decennio seguente. Rimane tuttavia, per la popolazione pediatrica, una procedura alla portata di pochi centri specializzati, tra cui l’Ospedale di Bergamo, che vanta una delle più ampie casistiche in Italia.

Paolo De Filippo, responsabile dell’Unità di Elettrofisiologia, commenta: «Data la percentuale non trascurabile di complicanze che possono associarsi a un’ablazione pediatrica, per valutare attentamente rischi e benefici di queste procedure servono dati che solo un network di centri altamente specializzati è in grado di fornire». Carlo Nicora , direttore generale del Papa Giovanni, sottolinea come questo risultato sia frutto di un lavoro di squadra: «Il nostro ospedale ha saputo sviluppare l’eredità di Lucio Parenzan, sia nel coraggio di aprire nuove strade e sperimentare nuove tecniche, sia nell’attenzione al bambino nella sua globalità e non solo al sintomo o alla malattia».

«I pazienti pediatrici richiedono un approccio particolare, a partire dall’ambulatorio aritmologico a loro dedicato, nel quale incontrano medici preparati alla gestione delle aritmie e delle loro ripercussioni psicologiche in età infantile ed adolescenziale. Quando è necessario il ricovero, i nostri piccoli pazienti vengono accolti nel reparto di Cardiologia pediatrica che offre la possibilità, per i più piccoli, di ospitare nelle stanza anche un genitore» commenta Paola Ferrari.

L’aritmologo che accoglie la famiglia all’ambulatorio diventa il punto di riferimento lungo tutto il percorso di diagnosi e terapia. “Offriamo alle famiglie, in un momento difficile, mentre sono lontane da casa, la possibilità di avere un unico interlocutore, così anche il paziente molto piccolo può imparare a riconoscerlo come una figura familiare”, continua De Filippo. Come molte altre Unità pediatriche dell’ospedale di Bergamo, anche l’Elettrofisiologia partecipa al progetto Giocamico, curato dalla Psicologia clinica e finanziato da due associazioni, Amici della Pediatria e L’Orizzonte di Lorenzo. «Ai bambini dai 4 anni in su vengono presentate, sotto forma di gioco e ricorrendo a immagini e pupazzi, la Tac, la risonanza, l’intervento chirurgico», illustra Simonetta Spada, responsabile della Psicologia clinica. «Se la sala operatoria diventa un’astronave che parte per un viaggio già sperimentato, di cui è stato possibile parlare, ansia e paura si possono riconoscere ad affrontare».

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