Due cuori e una tenda sui pendii del Cho Oyu, una delle 14 cime che supera gli 8.000 metri d’altitudine. Una vera e propria spedizione, la prima della loro vita, che ha portato Patrizia Capelli e Alessandro Colleoni sul Tetto del mondo, a pochi passo dal cielo e dall’Everest. «Un’emozione unica e indescrivibile, che ci ha lasciato la voglia di tornare in quei posti indimenticabili per ripetere nuovamente l’avventura», raccontano ora.Patrizia è di Zogno e lavora come domestica in case private. Alessandro, 34 anni, è originario di Valbrembo e lavora come tecnico per una ditta di carrelli elevatori. Quello che li accomuna è la passione per la montagna, che è stata anche la freccia che ha fatto scoccare il loro amore: entrambi sono infatti volontari nel Soccorso alpino operativo in Valle Imagna. Insieme hanno scalato diverse importanti vette italiane, ma da lungo tempo serbavano il sogno di poter compiere una spedizione sulle vette himalayane. «Siamo partiti il 5 aprile - raccontano - e siamo rientrati da una settimana soltanto: per affrontare un viaggio con questi obiettivi bisogna avere molto tempo a disposizione per permettere al fisico di acclimatarsi: è fondamentale, per motivi di salute, suddividere l’impresa per tappe. Per l’organizzazione ci siamo rivolti a un tour operator specializzato di Modena, Il nodo infinito, al quale fanno riferimento anche alcuni dei maggiori alpinisti italiani come Simone Moro, Mario Merelli, Silvio Mondinelli, Marco Astori e Roberto Piantoni».Poi l’avventura: «Una volta a Kathmandu, capitale del Nepal, ci siamo imbattuti nei disordini che hanno portato all’abdicazione del re e all’imposizione del coprifuoco. La nostra impresa cominciava già a regalarci i primi imprevisti, che abbiamo pazientemente dribblato per cercare di mantenere la tabella di marcia. Siamo dovuti ricorrere perfino all’elicottero per uscire dalla città e raggiungere il confine con il Tibet, dove si trova il versante per la salita del Cho Oyu». Quindi la scalata: «Una volta arrivati a Tingri, sull’altopiano tibetano - proseguono i due alpinisti - si è già a 4.700 metri e appaiono le montagne più alte: ci siamo resi conto dell’imponenza del Cho Oyu e ci sembrava impossibile conquistarne la vetta. Al campo base cinese, a 4.900 metri di quota, abbiamo lasciato i mezzi motorizzati e aspettato gli yak con i conduttori tibetani che ci hanno portato al campo base definitivo, a 5.700 metri».Da qui sono poi cominciate le procedure per raggiungere in modo graduale la cima del Cho Oyu, accompagnati da uno sherpa. Tra il campo base e la cima correvano 3.100 metri: sul percorso erano previste tre tappe intermedie che Patrizia e Alessandro hanno raggiunto nonostante una bufera di vento e un’altra di neve, fino al momento di affrontare la vetta. «Patrizia ha avuto alcuni problemi di salute e non è riuscita a riposare adeguatamente per tentare la cima - racconta Alessandro -, così abbiamo continuato io e lo sherpa e finalmente siamo arrivati a quota 8.200 e a soli 30 chilometri dall’Everest, che potevo ammirare dalla vetta. È stata un’emozione indescrivibile: non avrei scommesso un euro che sarei riuscito ad arrivarci. E invece... È costato tanta fatica, ma alla fine è una soddisfazione impagabile».«Tutto il viaggio è stato emozionante - conclude Patrizia -. Sono sempre stata innamorata della montagna e questa spedizione mi ha catturata completamente. Certo, visto quanto è successo (il mancato raggiungimento della vetta, ndr) mi è rimasta la voglia di tentare nuovamente l’avventura».
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