Cronaca / Valle Seriana
Giovedì 21 Novembre 2013
Dal mare alla grande vetta
Deho diventa il re del Messico
Quando l’eccellenza sportiva sconfina nell’alpinismo, allora non può che nascere una grande impresa. E tutta di stampo bergamasco. Sono le 12,22 (ora locale) del 31 ottobre quando il pluricampione bergamasco di mtb Marzio Deho può dire di avercela fatta.
Quando l’eccellenza sportiva sconfina nell’alpinismo, allora non può che nascere una grande impresa. E tutta di stampo bergamasco. Sono le 12,22 (ora locale) del 31 ottobre quando il pluricampione bergamasco di mtb Marzio Deho può dire di avercela fatta: si trova sulla vetta del Pico de Orizaba (Messico), la cima più alta dell’America Centrale con i suoi 5.636 metri. Ci è arrivato in «sole» 13 ore e 22 minuti, stabilendo il nuovo record mondiale di Up to Summit, sino ad allora detenuto dal forte alpinista locale e himalaista Hector Ponce de Leon.
Si tratta di un record di dislivello, con partenza dal mare per raggiungere una vetta in meno di 24 ore. Dalla spiaggia di Veracruz ha percorso 200 chilometri, per un dislivello totale di 7100 metri. Una sorta di inedito triathlon nel quale ha utilizzato la bici da strada, la mountain bike ed infine affrontato a piedi l’ultima parte su roccia e ghiacciaio per giungere alla vetta.
Per Marzio Deho, atleta del Team Olympia, quello portato a termine in Messico è un progetto chiuso nel cassetto da circa tre anni, oltre che una soddisfazione immensa. Lui, biker con la passione per la montagna e lo sci alpinismo, questa impresa l’aveva pensata da tempo.
«Vado spesso in Messico per gareggiare e lì conosco un po’ di persone - racconta l’atleta di Ranica -. Tre anni fa sono salito sulla Sierra Negra, la montagna che si trova proprio di fronte al Pico de Orizaba. È stata un’idea nata così, guardando quel gigante tutto roccia e neve e rimanendone affascinato. Sapevo che partire da quota zero, pedalare ininterrottamente per un numero imprecisato di ore e conquistare la vetta, non sarebbe stato facile. Ma la montagna era bella e l’impresa, a mio giudizio, fattibile. Così ho iniziato a prendere accordi con gli amici e le autorità locali per l’organizzazione. A causa di numerosi problemi logistici, l’impresa è stata più volte rinviata e rimasta in stand-by fino a metà ottobre quando, con sorpresa, ho ricevuto la comunicazione che tutto era pronto».
Non ci ha pensato due volte Marzio, il momento era giunto e, dopo tanta attesa, non poteva certo lasciarselo sfuggire. Con lui, al via, altri due biker: il bergamasco Johnny Cattaneo e il danese Soren Nissen. Entrambi, nonostante l’apprezzabile performance, hanno desistito prima di giungere al tratto finale, quello alpinistico.
I primi 2700 metri di dislivello, percorsi con la bici da strada, hanno visto il trio snodarsi per le vie della città di Veracruz, chiuse al traffico per l’evento. Poi, scortati dalla polizia locale, si sono ritrovati a percorrere un lungo tratto di autostrada e infine, dopo 150 chilometri, hanno inforcato le mtb. Da qui la salita sì è fatta molto più ripida e impegnativa, il fondo stradale sconnesso. È proprio questo il tratto in cui Johnny Cattaneo (il danese aveva già abbandonato) ha cominciato ad accusare la stanchezza ed i primi malesseri dettati dalla quota, a rallentare e a dire all’amico di proseguire da solo.
Solo Marzio ha continuato, a ritmo sostenuto, fino a raggiungere il rifugio Piedra Grande, a quota 4200 metri. A questo punto nuovo cambio d’assetto, ramponi ai piedi e via, verso la vetta. Un ultimo, ancora una volta lungo, tratto a piedi. Quello che Marzio ha definito un calvario, per la stanchezza accumulata e per le condizioni della neve che, al sole, cominciava a diventare meno consistente e rendeva difficile avanzare. Ma metro su metro, passo dopo passo, non ha mollato, forse perché quando si arriva a un certo punto non si può più desistere.
«Il ritmo è sempre stato intenso - racconta -, nelle prime 3 ore abbiamo corso a una media di 40 km orari. Poi è andato calando, anche se lo sforzo è stato sempre ai massimi livelli». Un’impresa made in Italy, di più, made in Bergamo, che fonde gesto atletico, passione per lo sport e retaggio alpinistico tipico di «casa nostra».
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