Crollo dei nati
rischi e risposte

L’Istituto nazionale di statistica (Istat) ci ha ufficialmente informato che lo scorso anno «la popolazione italiana ha perso circa 100 mila residenti», che «la natalità ha migliorato al ribasso il record stabilito nel 2016» e che il saldo naturale, negativo per 183 mila unità (più morti che nati) - anche a seguito del significativo aumento del numero annuo di decessi (+31mila) -, è ormai giunto a rappresentare un «minimo storico». Come si vede, non mancano elementi che inducono a riflettere su «come mai» siamo arrivati a vivere una crisi demografica di questa portata e a farci chiedere «con quali modalità» potremmo cercare di venirne fuori, auspicabilmente in fretta e nel miglior modo possibile.

Limitandoci al tema più eclatante e centrale nel quadro del cambiamento demografico che stiamo vivendo, ossia l’inarrestabile caduta della natalità, le statistiche ci mostrano come nell’arco di un decennio, tra il 2007 e il 2017, si siano persi progressivamente 100 mila nati e come nell’anno che si è appena concluso si sia scesi a 464 mila unità, segnando una nuova riduzione del 2% che conferma il «miglioramento» del record al ribasso, in un Paese dove ormai da 40 anni non si riesce a mettere al mondo un numero di bambini sufficiente a garantire il semplice ricambio generazionale.

Certamente dietro al continuo calo della natalità ci sono i numerosi ostacoli che si riscontrano lungo il percorso che porta i giovani alla vita di coppia e quindi alla genitorialità. I figli costano e condizionano le scelte e talvolta la stessa qualità della vita dei genitori (il lavoro, la casa, il tempo libero), senza che questi ultimi possano contare su un adeguato sostegno da parte della società. Quella stessa società per la quale essi «producono un capitale umano» che è essenziale per garantire a tutti l’esistenza di un futuro. Non sorprende dunque che vi sia una caduta tra il modello ideale dei due figli per coppia, mediamente presente nell’immaginario degli italiani, e la realtà degli 1,3 figli pro capite che vengono effettivamente messi al mondo alle condizioni attuali.

Né, d’altra parte, può consolarci osservare che la discesa della natalità risulta presente pressoché in tutte le popolazioni economicamente più sviluppate e non è solo una prerogativa italiana. Anche perché altrove – in Francia, Regno Unito, Svezia, o ancor più negli Stati Uniti, tanto per fare qualche esempio - il calo è stato ed è comunque più contenuto e le sue conseguenza, in termini di crescita della popolazione e di invecchiamento della struttura per età appaiono decisamente meno drammatiche.

In proposito, al 1° gennaio del 2018, l’Istat ci informa che il 23% della popolazione italiana ha almeno 65 anni, mentre dieci anni prima la percentuale era del 20% e – stando alle previsioni che lo stesso Istat ha recentemente elaborato – salirà al 26% fra dieci anni e al 31% fra altri dieci. Va da sé che l’Italia sarà sempre più chiamata ad affrontare importanti problematiche di equilibrio tanto sul terreno del welfare (pensioni e sanità), quanto su quello della disponibilità di un potenziale produttivo (forza lavoro) sufficiente a garantire le risorse necessarie per mantenere la qualità della vita in un contesto sociale sempre più «maturo».

In conclusione, il messaggio che deve leggersi nei dati statistici che ieri l’Istat ci ha presentato è che la crisi demografica che investe l’Italia non è solo un fatto congiunturale legato a fenomeni di debolezza economica. In assenza di azioni di riorientamento, la velocità del cambiamento che investe i modelli di vita e il sistema dei valori rischia di consolidare e rendere strutturali quegli stessi fenomeni che pur hanno avuto origine da fattori e da eventi congiunturali. Dobbiamo convincerci che la realtà demografica che stiamo vivendo è importante e pericolosa per gli equilibri del nostro Paese almeno quanto la crisi economica (se non di più), e come tale va attentamente seguita e adeguatamente contrastata tanto con gli strumenti della politica, quanto sul piano della cultura e della difesa dei valori.

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