Cronaca / Isola e Valle San Martino
Giovedì 06 Marzo 2014
«Contro la sclerosi multipla
ho segnato il più bel goal della vita»
Giorgio Previtali, 56 anni, di Palazzago, perito elettrotecnico, sposato con Nicoletta e papà di Marco e Daniela, ha fatto un «goal» che gli ha permesso di vincere la sua partita più importante: quella contro la sclerosi multipla progressiva che l’ha colpito nel 1981.
Giorgio Previtali, 56 anni, di Palazzago, perito elettrotecnico, sposato con Nicoletta e papà di Marco e Daniela, ha fatto un «goal» che gli ha permesso di vincere la sua partita più importante: quella contro la sclerosi multipla progressiva che l’ha colpito nel 1981.
Dopo alterne vicende di speranze e delusioni, nel 1996 dovette abbandonare il lavoro, ma nel 2005 è arrivata la svolta, dopo un percorso lento e faticoso che lo ha portato a ritrovare le cose semplici della vita, quelle che si danno per scontate ma che fanno la differenza: sedersi a tavola e mangiare senza l’aiuto della moglie, salutare stringendo la mano delle persone, sfogliare un libro, lavorare al computer, andare a bere un caffè al bar, andare a letto senza l’ausilio di nessuno. Giorgio ha riconquistato giorno dopo giorno la sua libertà, convivendo con il male che si è come «addormentato». Un’esperienza che ha voluto raccontare in un libro, intitolato «Ho fatto goal alla sclerosi multipla».
Lo incontriamo nella sua casa di Palazzago. Ci racconta la sua difficile esperienza con passione e serenità, proprio come un giocatore che ha fatto goal.
Giorgio, quando si è manifestata la malattia?
«I primi sintomi li ho avvertiti durante una partita di calcio nel maggio 1981, l’ultima che ho disputato. Mi sentivo stanco, le gambe legnose e un po’ scoordinate. Dopo mesi di quei continui disturbi, mi decisi a effettuare accertamenti e purtroppo dai primi esami medici arrivò un amaro verdetto: sclerosi multipla. Avevo 23 anni».
Allora Nicoletta era la sua fidanzata?
«Si, fidanzati con tanti progetti, ma la malattia non ostacolò il matrimonio. Nicoletta, che aveva 20 anni, mi sposò l’anno dopo malgrado la diagnosi poco allettante e il futuro incerto che ci attendeva. La sua decisione mi diede una straordinaria forza vitale. La nascita di Marco e di Daniela contribuì a rafforzare il nostro amore e la fede che abbiamo sempre avuto».
Quali sono stati gli anni più difficili?
«Sicuramente il ’96 e ’97 quando non volevo fare uso della carrozzina. Malgrado enormi sacrifici, non l’accettavo, mi rifiutavo di stare seduto sulla sedia a rotelle con le conseguenze che si possono immaginare. Alla fine ho dovuto arrendermi e ho cominciato a guardare tutti e tutto dal basso in alto. Purtroppo nel giro di pochi mesi anche le braccia iniziarono a non rispondere. Verso la fine del 1998 ero tetraplegico».
Da dove è venuto l’aiuto e il sostegno in momenti così difficili?
«Mia moglie Nicoletta praticamente è diventata la mia infermiera personale e la mia badante. Lei e i figli mi sono sempre stati vicini senza mai lamentarsi. Il calore e l’affetto della famiglia insieme alla fede e al mio percorso spirituale, mi hanno permesso di vivere la disabilità con animo sereno».
È andato in pellegrinaggio a Lourdes?
«Ci sono stato due volte, ma non ho mai chiesto niente per me. Accanto al sostegno dei miei tre familiari ho trovato forza in un percorso spirituale molto personale. Questi valori mi hanno permesso di vivere la malattia e le sue complicazioni con una normalità inimmaginabile».
L’anno della svolta?
«Nel 2005 la luce e la serenità interiore che ho sempre mantenuto hanno iniziato a manifestarsi anche nel mio fisico. Un giorno ho avvertito un tremolio nella mano destra, cominciai a fare qualche piccolo allenamento, la mano lentamente rispondeva. Ho avuto bisogno di prove e controprove, fatte di vero sudore della fronte, per raggiungere obbiettivi minimi che poi mi spingevano verso nuove conquiste. Il tavolo della cucina divenne la mia palestra per riuscire ad allargare le braccia, raggiungere con le mani gli spigoli, impugnare la biro per poi tentare di scrivere e prendere le posate per cercare di mangiare da solo. Mesi e mesi di prove a volte deludenti. Nel 2007 ripresi ad essere autonomo a tavola, riuscivo bene a districarmi con la sedia a rotelle senza l’aiuto di nessuno. Lentamente si sono sciolte e addomesticate pure le gambe che hanno iniziato a dare piccoli segnali. Miglioramenti lenti, sudati, ma continui. Nei primi giorni del 2009 eccomi in piedi su delle stampelle a 4 piedi nella palestra del Policlinico San Pietro, mi sembrava di essere sulla luna. Da allora ho continuato a migliorare anche il mio passo ed ora cammino con una sola stampella normale».
Il libro si presenta con un titolo da tifoso del calcio...
«Sì, “Ho fatto goal alla sclerosi multipla”. È un libro che mi ha aiutato a rileggere la vita come un dono divino. Il titolo con la foto del calciatore Zanetti evidenzia la mia passione sportiva, sono sempre stato tifoso dell’Inter sin da bambino. Zanetti l’ho incontrato la prima volta a Bormio nel 2001 e recentemente ad Appiano Gentile: è una persona e un atleta esemplare, un grande. L’immagine del goal esprime bene l’emozione intensa che si prova quando il pallone supera la linea di porta: è un momento liberatorio che fa dimenticare la fatica. Ora la normalità per me è una cosa speciale. Il libro è un vero inno alla vita. È una storia per raccontare la mia gratitudine, per dare speranza e sollievo a chi vive le quotidiane difficoltà della malattia, ma anche per aiutare a sapere apprezzare le cose semplici e ordinarie che fanno il tessuto della nostra esistenza. La malattia per me è stata una vera e propria lezione di vita».
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