«Con il suo sacrificio don Dordi
ci ha insegnato a non avere paura»

Sulle orme di don Dordi: da Chimbote a Santa Nella Sierra peruviana la delegazione bergamasca ha ripercorso gli ultimi istanti di vita del missionario.

Vinzos era il villaggio più lontano da Santa e don Sandro Dordi ci andava a celebrare Messa ogni ultima domenica del mese. Così fece anche quel 25 agosto del 1991. Era teso, ma partì lo stesso dopo pranzo per celebrare anche un Battesimo. Salì in auto con due catechisti e percorse la strada sterrata dalla città verso la sierra. E su quella strada, al rientro, trovò la morte per mano dei terroristi di Sendero Luminoso. «Fui io la prima che avvisarono della sua morte – ricorda suor Alberta Gandolfi, religiosa delle Pastorelle –: la piazza davanti alla chiesa di Santa si riempì a poco a poco di gente e nessuno si mosse fino a sera, quando giunse il suo corpo senza vita. Andò via la corrente elettrica, ma nessuno si mosse: la paura era come scomparsa».

Suor Alberta, di origine veronese, ora vive in Cile, ma in questi giorni è a Chimbote, 600 mila abitanti, sulla costa pacifica nel Nord del Perù, per prendere parte alla beatificazione di don Sandro Dordi e dei due francescani polacchi uccisi nel giro di un paio di settimane dai terroristi maoisti. È lei a mettersi alla guida del fuoristrada e a ripercorrere le ultime ore del missionario originario della parrocchia di Gromo San Marino. Con lei il vescovo di Bergamo Francesco Beschi giunto per la Beatificazione di don Dordi con il vicario episcopale, monsignor Vittorio Nozza, il parroco di Gromo San Marino e Gandellino, don Ruben Capovilla e il segretario del vescovo monsignor Giampietro Masseroli. «Ormai non si viveva più – spiega suor Virginia Piu nella casa parrocchiale di Santa -: don Sandro sapeva che la sua vita era in pericolo. Scelse di restare per la sua gente e noi suore con lui. Quella domenica pranzammo insieme:avremmo dovuto salire su quell’auto con lui per visitare alcuni villaggi più vicini alla città, ma ci disse che era meglio che noi andassimo a piedi. Voleva proteggerci». «Sendero Luminoso – spiega suor Virginia – lo aveva messo nel mirino, perché predicava il Vangelo e dava da mangiare ai poveri. Era molto amato dalla popolazione perché conosceva tutte le famiglie. Le andava a trovare una a una, stava con loro, condivideva le loro vite nella povertà. Entrava nelle case e usava guardare nella pentola per vedere cosa si mangiava. Se si mangiava troppo faceva presente i bisogni delle altre famiglie; se si mangiava troppo poco vedeva il modo di aiutare».

E a Santa di gente povera ce n’era e ce n’è ancora troppa. La cittadina di 30 mila abitanti sparsi per 30 villaggi si trova a pochi passi dall’oceano Pacifico. Il clima, in questa striscia di terra sotto l’Equatore, è arido e secco. Anche quando ci si avventura verso la sierra, i rilievi andini, non crescono arbusti e le montagne sono grigie. La pioggia,anzi l’alluvione, qui si vede solo ogni 10 anni quando ritorna El Niño (una corrente calda dell’oceano che cambia il clima e porta acqua). «Fu don Sandro a ricostruire il canale quando il rio Santa tracimò nell’83 per il Niño, conquistando la fiducia della gente» dice suor Alberta guardando i contadini chini nei campi di arroz, il riso. A Rinconada, una delle comunità che visitava don Sandro, c’è ancora la chiesa che era in costruzione proprio in quel terribile anno. Prima di andare a Vinzos, quel pomeriggio, don Sandro si fermò in questa chiesa per porre un segno sul muro e indicare le misure della finestra ai muratori.

«Era molto meticoloso» dice suor Alberta. Poi ripartì, convinto di tornare lì verso le 17 per la Messa.Suor Alberta guarda verso le montagna. «Lassù si nascondevano i guerriglieri del Sendero –dice –: un mese prima della mattanza don Sandro me li indicò, sulla cima, dicendomi che lo stavano spiando. Mi disse di dire un rosario». Sendero Luminoso ha ucciso più di 60 mila persone nel Paese. Sul luogo dell’assassinio di don Sandro oggi c’è una piccola cappella bianca e blu e una grande palma. Qui il vescovo Beschi si è fermato per una preghiera. «Bloccarono la strada a don Sandro con dei massi proprio in questo punto – dice suor Alberta indicando il curvone della morte –. Erano in due e lo fecero scendere, lo uccisero con tre colpi proprio sul ciglio della strada. I due catechisti furono presi come ostaggi e liberati dopo qualche ora».

A Vinzos, la señora Iolanda, catechista, apre la porta della chiesa oggi ristrutturata grazie alla diocesi di Bergamo. «Ero a Messa qui quel giorno – dice –: don Sandro continuava a guardare la porta. Per noi don Sandro fu molto importante: ci insegnò a pregare e ci amava. Creò il club des madres che aiutava nella promozione della donna». Oggi Vinzos è un villaggio di case di mattoni e canne di bambù. Povero come lo sono ancora oggi il 28,7% dei peruviani, e i due terzi dei minori del Paese. «Quella notte – dice suor Alberta – Sendero Luminoso segnò la propria fine. Colpire don Sandro fu un boomerang: i campesinos si allontanarono da loro perché avevano ammazzato un uomo innocente e che stava dalla loro parte. Quella sera nella piazza di Santa, al buio, fu come una Pentecoste: la paura era diventata speranza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA