Col surf sull’onda di Renzi

di Giorgio Gandola

Quella di Renzi è un’onda oceanica, ma Giorgio Gori non riesce a fare surf fino alla spiaggia e a portare a casa tutta la posta in un giorno solo. A Bergamo si va ai supplementari.

Quella di Renzi è un’onda oceanica, ma Giorgio Gori non riesce a fare surf fino alla spiaggia e a portare a casa tutta la posta in un giorno solo. A Bergamo si va ai supplementari. Questo la dice lunga sull’equilibrio delle forze in campo, sulla macchina da voti che ha saputo diventare un Pd finalmente coeso attorno al suo candidato. Ma anche sulla granitica solidità di Franco Tentorio nonostante qualche inquietante scricchiolio della sua coalizione.

Se il dato europeo è scolpito nella pietra con sullo sfondo la limpidezza del mattino, quello bergamasco è più sfumato e problematico; adesso serviranno altre due settimane per mettere la fascia tricolore al primo cittadino.

Nonostante l’effetto Renzi la partita resta apertissima. Gori e Tentorio ripartono quasi alla pari e devono recuperare percentuali basse per arrivare al traguardo del cinquanta più uno. Possono farlo andando a pescare la marea di indecisi sbilanciati verso un weekend balneare (Tentorio) o i tanti grillini progressisti in libera uscita (Gori), presumibilmente inclini al personalismo nell’urna dopo la batosta europea del leader che li ha inventati.

Da Bergamo al mondo il passo non è per niente lungo, anzi per capire le curve basta rimanere sul Sentierone la sera del comizio di Beppe Grillo. Mentre lui gridava dal palco insulti a chiunque gli venisse in mente, un passante si è fermato ad ascoltarlo dall’altra parte della strada, poi ha scosso la testa allontanandosi: «Un oter ciacerù». Un chiacchierone che ha perso tre milioni di voti in un anno. E mentre prendeva una pastiglia di Maalox ha probabilmente capito che provare a creare ancora più consenso spaventando gli elettori è difficile quanto realizzare la turbina di un F35 con la polvere di alluminio dentro una stampante 3D.

Ora per lui è fondamentale passare dalla protesta alla proposta, con relative alleanze, se non vuole rimanere ingessato per l’eternità su un capitello. In definitiva erano più credibili gli orizzonti pennellati da Matteo Renzi, e infatti gli italiani di centrosinistra e anche di centrodestra non necessariamente berlusconiani (esistono e sono molti di più di quanti non immaginino gli apparati) hanno dato a lui la carta di credito in bianco per provare a cambiare il Paese: burocrazia, spesa pubblica, flessibilità nel lavoro, giustizia, auguri.

E poi per tentare nel semestre europeo - che comincia il primo luglio - a convincere l’Europa a guida teutonica a svitare la punta prussiana dall’elmetto. Operazione titanica, ma andare davanti a frau Merkel con il 40% dei consensi in patria è molto meglio che andarci col cappello in mano come erano soliti fare, pur con liturgie differenti, Berlusconi, Monti e Letta.

In questi due giorni così folli è accaduto qualcosa di straordinario anche nella geopolitica del continente: mentre Renzi ha stravinto il referendum su di lui, Hollande lo ha straperso. I francesi non vogliono che il loro leader continui a fare la mosca cocchiera di Berlino, quindi sarà «monsieur croissant» a dover svolgere il lavoro più duro per tentare di smantellare il rigorismo tedesco, a meno che non intenda trasformare il suo Paese nel più antieuropeo d’Europa consegnandolo a Marine Le Pen. Lo scenario è largo e per niente cupo. Una volta scampato il pericolo di dover proporre qualcosa di sensato, pure Grillo sembra sorridere dietro i malumori. È la sua decrescita felice. Nella vita succede.

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