Cronaca / Bergamo Città
Venerdì 05 Dicembre 2014
Chiude il colorificio, il saluto di Danilo
Nel suo magazzino una giovane artista
A fine mese chiuderà il Colorificio Lecler di via Quarenghi, un’insegna nata nel 1890 e con una storia - bellissima - da raccontare. Che spiega alla fine le sorti di tutta via Quarenghi, e la sua evoluzione. Ma anche le sue novità. Come quello dello stesso colorificio: nel suo vecchio deposito, ora, c’è Cloe’T, una giovane artista bergamasca. Che ha iniziato proprio da qui: comprando una tela e dei pennelli in quel negozio.
«La mia Paoletta, la prima volta che è entrata qui, era un’esplosione di sorrisi mentre cercava colori e pennelli. Ora io chiudo e resta lei, in quello che era un pezzo di magazzino delle tinture. Lì ci facevamo i colori, poi è diventato il deposito degli impasti. Adesso barattoli, piante e tutto quello che questa ragazza si inventa». Paoletta è Paola Francesca Denti, 31 anni, Danilo Mismara è il titolare del Colorificio Lecler, 72 anni: a fine mese chiuderà la sua storica bottega che era stata aperta dai trisavoli di sua moglie nel 1890.
«Non abbiamo mai ricostruito l’albero genealogico, io so solo che ho preso in mano questo mondo di colori e impasti nel 1966». Con un passo indietro da fare: «Ho sposato Gabriella nel ’64: ci siamo conosciuti a scuola e ci siamo innamorati». Ora hanno festeggiato i 50 anni di matrimonio ed è un piacere vederli insieme, con complicità e la sincerità che ha basi solide, di fiducia e rispetto reciproco. Ed è così che dopo la scuola Danilo finisce per fare il bancario: «Ero contabile al Credito Bergamasco: dal lunedì al venerdì tra somme e divisioni, il sabato e la domenica mi infilavo il camice e aiutavo Gabriella in negozio e nel laboratorio. Più che altro stavo a guardare incantato chi faceva i colori: quelle miscele mi incuriosivano». E dall’amore nasce anche un nuovo impiego: «Stavo in via Quarenghi, che era casa e bottega per la famiglia di mia moglie: vivevano sopra il magazzino, nel cortile interno del civico 5. Poi mi spostavo nel loro capannone in via San Bernardino, nella zona dove ora c’è la palestra SportPiù: lì avevano il laboratorio principale».
Perchè negli anni Sessanta si facevano ancora i colori a mano. «In San Bernardino c’era la produzione di tinture e vernici: 2 mila metri quadrati di smalti per l’edilizia e la carpenteria metallica, pitture murali per i privati» spiega Danilo nel suo giubbotto beige, la camicia a scacchi di ordinanza e un paio di jeans, quelli un po’ morbidi, per stare comodi tra gli scaffali che ormai sono rimasti vuoti. Una svendita nelle ultime settimane ha pian piano ridotto all’osso le forniture: «Ho saluto anche i miei rivenditori, ne avevamo tantissimi, soprattutto nelle Valli: ora l’addio necessario perché non potevo più garantire il materiale come una volta».
Una volta vuole dire quando in negozio si stava in tre e altre tre erano le persone in San Bernardino, quando il deposito di vernici e il magazzino erano talmente estesi da occupare i locali del palazzo di via Quarenghi, un labirinto di stanze dai pavimenti dalle graniglie di marmo antiche, i soffitti alti e uno sbocco che dava in vicolo Bancalegno: «Negli anni Trenta gli oli e i diluenti, ma anche gli alcol, erano sfusi: venivano i restauratori e i lucidatori, anche semplici artigiani con i bottiglioni da riempire fino al bordo».
E in quello che fino a due anni fa era il magazzino dei colori, prima ancora era un piccolo laboratorio: «Si macinavano le tinture e si impastavano con l’olio. Poi dagli anni Cinquanta lo spazio non bastò più e si passò in San Bernardino». Perché il lavoro era tanto: «Fino agli anni Novanta: poi sono arrivate le grandi catene, i prodotti già pronti, i prezzi più bassi. E la qualità si è persa, come un po’ anche il sapere».
Ma Danilo non lo dice con amarezza: c’è un po’ di rassegnazione, quel senso di cose che cambiano, e si evolvono. Lui resta con quella giacca ordinata, i modi cortesi e il fare elegante che non scoraggia anche di fronte alla delusione: «Impossibile competere con questi centri, posso solo competere sulla professionalità, sull’esperienza, su prodotti che hanno una qualità superiore e una garanzia di resa maggiore». Perché i colori, gli smalti, non sono gli stessi: nella tenuta, nella copertura, nell’effetto, nel trattamento del muro, nell’essere inodore. Danilo lo spiega e arriva Paola con una brioche appena comprata dal fornaio. Lui insiste per fare a metà e lei si siede sullo sgabello, di fronte al bancone: il maestro e l’alunna, a raccontarsi di vernici, di nuovi sgabelli da finire e di colori che devono essere testati e riprovati, mano dopo mano.
Paola il futuro, Danilo il passato per un’attività che chiude una storia di quella fetta di via Quarenghi: c’erano il fruttivendolo Capitanio, l’osteria, il Grismondi delle calzature, il Marenzi, due panifici e un macellaio. Ora nuove attività che stanno rianimando la strada, alcune appena nate, proprio come il laboratorio di Paola, Cloe’T: si trova nel cortile interno, un buco di colori e vetri, gessi e cementi, piante sospese: «Ci siamo conosciuti che entrava per chiedermi impasti strani come le sue idee sempre originali, resine siliconate, colori da inventare ogni volta. Ma anche quando non sapevo come aiutarla se ne usciva con un pennello, passando ore a chiacchierare e a chiedere consigli».
Poi Paola si trasferisce proprio a pochi metri, nell’ex deposito di Danilo, e a quel punto le porte devono restare aperte: un avanti e indietro a fare test di colori e a spiegare perché quel grigio è diventato viola su un tipo di ceramica e perché sul cemento di una lampada speciale l’impasto deve essere fatto in maniera differente: «Consigli sinceri di una persona che i materiali li conosce come le sue tasche. L’esperienza ha un valore inestimabile e qui so che c’è, in ogni angolo e scaffale» dice Paola.
Scaffali che nel laboratorio di Paola sono rimasti intatti: «Ho cercato di non stravolgerne la storia – spiega -. Ecco perché conservo le etichette dei colori delle vernici, perché ho mantenuto le targhette che indicavano i nomi dei materiali che erano posizionati sui ripiani e perché le pareti sono ancora dello stesso colore di 50 anni fa». L’armadio «delle polveri», chiamato in questo modo per indicare lo scaffale che catalogava tutte le varianti di pigmenti ora è diventato il suo espositore di complementi d’arredo; il tavolo usato per intelaiare le cornici è il banco da lavoro.
E la pensione ora Danilo se la godrà? «Fosse stato per me non ci sarei mai andato, io amo questo posto, la gente che entra anche solo per un tubetto di tempera, i tanti artisti che arrivano da Città Alta, semplici imbianchi, i restauratori di Bergamo». Anche da Borgo Santa Caterina, la sua strada, dove è nato e cresciuto mentre ora si accoccola sulla collina di Zandobbio, con pure l’aia e le galline in giro libere tra i cani.
Ma Paola resta e Danilo saluta via Quarenghi, con il proposito di tornare dalla sua alunna. Che ha bisogno dei consigli, di averlo accanto: «Il mio fratello maggiore» scherza lei, e già organizzano nuove merende insieme, il ghiacciolo dell’estate e quelle patatine che Paola compra al bar accanto e che non smette mai di mangiare. «Mai vista senza quel suo sorriso e gli occhi luminosi» dice Danilo. «Mai visto perdere le staffe con un cliente, capace di ripetere fino all’infinito consigli e cose da fare» spiega Paola. Che non si capacita: «A fine giornata, quando scoccano le 18.30 lo riconosco dal passo che si avvicina alla porta per assicurarsi che tutto vada bene e che non abbia avuto problemi con i nuovi progetti o per controllare l’ennesima baraonda creata mentre sono in preda ai miei momenti di follia creativa». E aggiunge: «Perdere una bottega è un dolore anche per me che ho 31 anni e sono cresciuta nella generazione dei centri commerciali. Le botteghe hanno il sapere, hanno una storia da raccontare».
Danilo ce l’ha, una storia. Un pezzo l’ha passato a Paola. E in quel vecchio laboratorio, poi deposito e ora nuovo laboratorio «dei Capricci» come dice il marchio Cloe’T lui ci tornerà spesso. E volentieri. Proprio con quel fare cortese e distinto di quando, da ragazzo, per la prima volta varcò la bottega Lecler. E si innamorò dei colori.
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