Capriate, Mario Vitali è stato ucciso per liti legate a richieste di soldi

Forti tensioni fra la vittima e i familiari della moglie, legate anche a periodiche e ripetute richieste di denaro che la donna soddisfava di nascosto dal marito. Sarebbe questo - secondo i carabinieri - il movente che ha portato all’omicidio di Mario Vitali, l’operaio di 53 anni accoltellato la notte di martedì davanti alla sua abitazione a Capriate San Gervasio.

In carcere sono finiti la moglie di Vitali - Angela De Martino, 40 anni - ritenuta la mandante dell’omicidio e il fratello di lei - Carmine De Martino, 30 anni, residente a Rozzano (Milano) - che per i militari è l’esecutore materiale dell’omicidio. Quest’ultimo ha confessato il delitto dopo poche ore di interrogatorio. Gli indumenti che Carmine De Martino avrebbe usato durante l’accoltellamento sono stati ritrovati e ora sono stati affidati ai carabinieri del Ris per gli accertamenti. Nessuna traccia invece, per il momento, dell’arma.

Fratello e sorella sono stati interrogati per tutta la notte: alla fine, la confessione del De Martino e gli elementi di prova raccolti, hanno consentito ai militari e al pubblico ministero, Maria Cristina Rota, di procedere all’arresto dei due indiziati.

IL DELITTO - Mario Vitali è stato ucciso a coltellate sotto casa, una palazzina trifamiliare affacciata sulla quiete del fiume Adda, in via Gandolfi 4. Poi il suo corpo senza vita è rimasto nel cortile dei garage per una notte intera, senza che nessuno si accorgesse di nulla. Solo ieri mattina alle 5.30 la tragica scoperta da parte di un vicino che era sceso in cortile per andare al lavoro. Mario Vitali, 51 anni, operaio alla Dalmine e muratore nel tempo libero, sposato e padre di una ragazzina di 13 anni, incensurato, era riverso su un fianco in una pozza di sangue, accanto alla ringhiera che delimita il piccolo piazzale dal bosco degradante verso il fiume. Sul torace e nell’area intorno al viso, ferite da arma da taglio, almeno una quindicina. Il decesso, secondo un primo esame medico, risaliva almeno a cinque, sei ore prima del ritrovamento.

TUTTE LE FASI DELLE INDAGINI - Ma ecco, passo passo, quello che è successo nella convulsa giornata di ieri, in riva all’Adda. Alle 5.30 Luigi Lopez, camionista, che abita al piano terra della palazzina di via Gandolfi 4, esce per andare come tutti i giorni al lavoro e trova il corpo riverso a terra. Avvisa subito la moglie di Vitale che stava dormendo con la figlia. Poi arrivano i carabinieri e l’ambulanza. Scattano i rilievi di rito, ai quali partecipa anche il procuratore Adriano Galizzi. Viene esaminato il cadavere, si scopre che è pieno di ferite da arma da taglio (un coltello, o forse un cacciavite) almeno una quindicina, secondo le prime conclusioni, soprattutto nella zona del torace. I carabinieri della Scientifica passano al setaccio la zona: trovano numerose tracce di sangue sulla saracinesca del box di Vitali, poi, come a tracciare gli ultimi suoi movimenti, su quella del vicino, quindi sul bagagliaio dell’auto, infine intorno al cadavere, accanto alla ringhiera.

Vitali è stato vittima di un’aggressione. Non ha avuto nemmeno il tempo di urlare né di reagire. L’assassino ha atteso che Vitali scendesse con la sua auto lungo la rampa che scende dalla strada, che parcheggiasse giusto davanti al garage e che scendesse per aprire la saracinesca. È qui che è entrato in azione. Vitali ha resistito solo per un attimo, è arretrato verso la sua auto, si è appoggiato sul baule ed è crollato accanto alla ringhiera, dove probabilmente è stato finito, presumibilmente intorno alle 22.30.LA SVOLTA - Le tracce di sangue portano gli investigatori molto oltre il piccolo cortile affacciato sull’Adda. L’omicida, martedì sera, non si è accorto che, fuggendo, ha lasciato dietro di sé una macabra scia di sangue. Le orme della scarpa destra dell’assassino (una scarpa da ginnastica numero 44) distanziate quanto basta per capire che stava correndo a perdifiato, percorrono tutta la rampa fino alla strada, e poi giù per via Gandolfi, verso il fiume, fin quasi al ristorante Chiaro di Luna, dove probabilmente l’assassino aveva parcheggiato il mezzo per fuggire.

Una scarpa numero 44, un’arma che non si trova (anche se tutto il bosco sottostante è stato battuto palmo a palmo), e quel corpo senza vita, che nel frattempo viene portato nella camera mortuaria del cimitero di Capriate.

Gli investigatori si muovono su più fronti: per tutta la mattina passano al setaccio la scena del delitto e i luoghi circostanti, sentono diversi testimoni sul posto, in primis la moglie Angela, la figlia con l’ausilio di una psicologa, i vicini, i due fratelli e la sorella di lui, qualche conoscente, e partono per Milano alla ricerca di due parenti di Angela De Martino, il fratello e un altro parente. Da qui, nella notte, arrivano i due fermi: della moglie e del cognato della vittima.

(27/01/2005)

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