Bossetti e pm: muro contro muro
L’artigiano torchiato è granitico

Massimo Bossetti, da 51 giorni in carcere con l’accusa di essere l’assassino di Yara, non si è mosso di un millimetro dalla sua posizione: «Sono innocente». Non sono servite a scalfire la sua granitica determinazione neppure tre ore e mezza di interrogatorio.

Massimo Bossetti, da 51 giorni in carcere con l’accusa di essere l’assassino di Yara, non si è mosso di un millimetro dalla sua posizione: «Sono innocente». Non sono servite a scalfire la sua granitica determinazione neppure tre ore e mezza di interrogatorio, mercoledì mattina 6 agosto, da parte del pm Letizia Ruggeri, spalleggiata da tre ufficiali dei carabinieri del Ros di Brescia e del nucleo investigativo di Bergamo.

Del resto, stando a indiscrezioni, sembra che nel faccia a faccia in cella gli inquirenti non abbiano calato l’asso di briscola che ci si poteva aspettare alla vigilia: non hanno contestato, cioè, ulteriori gravi indizi di colpevolezza che facciano il paio con quello (pesantissimo) del dna. Il magistrato non ha portato con sé in via Gleno (almeno per il momento) nessuna intercettazione, nessun tabulato telefonico sospetto, nessuna testimonianza che smentisca la versione sin qui resa dall’indagato.

Nell’interrogatorio, invece, gli inquirenti hanno scavato con particolare decisione nel privato di Massimo Bossetti, forse nel tentativo di scalfire e mettere in crisi l’immagine da «Mulino Bianco» che lui stesso ha contribuito a tratteggiare, attraverso le dichiarazioni rese nei precedenti incontri con il magistrato. Ma è stato un muro contro muro. Da un lato c’è la procura, fermamente convinta della colpevolezza dell’artigiano, sulla scorta del fatto che c’è il suo dna sugli indumenti della vittima. Dall’altro c’è l’indagato, che insiste nel proclamarsi innocente e finora sembra non essere caduto in contraddizione.

Leggi le due pagine dedicate all’argomento su L’Eco di Bergamo del 7 agosto

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