Le sei suore morte di Ebola
Il vescovo: hanno dato speranza

«Sono state martiri della carità. La loro competenza più grande è stata la capacità di trasformare un ospedale in un luogo di speranza». Così il vescovo Francesco Beschi ha parlato delle sei suore morte di Ebola in Congo durante la Messa con la chiusura del processo diocesano di beatificazione.

«Sono state martiri della carità. Avevano una competenza infermieristica elevata e riconosciuta. Ma la loro competenza più grande è stata la capacità di trasformare un ospedale in un luogo di speranza e di bene per le persone e per i poveri. Sta qui il loro contagio vero, più forte della malattia che le ha colpite». Così il vescovo Francesco Beschi, sabato 25 gennaio, durante la Messa con la chiusura del processo diocesano di beatificazione, ha ricordato le sei religiose morte tra l’aprile e il maggio del 1995, dopo essere state contagiate dal virus Ebola mentre curavano gli ammalati nell’ospedale di Kikwit, in Congo: Floralba Rondi, 71 anni, di Pedrengo; Clarangela Ghilardi, 64 anni, di Trescore; Danielangela Sorti, 47 anni, di Lallio; Dinarosa Belleri, 59 anni, di Villacarcina (Brescia); Annelvira Ossoli, 58 anni, di Orzivecchi (Brescia); Vitarosa Zorza, 51 anni, di Palosco. Una ventina i sacerdoti concelebranti.

Presenti anche parenti e conoscenti delle sei Serve di Dio. «Tutte le Poverelle del mondo sono qui presenti con il cuore — ha detto la madre generale suor Bakita Sertore —. Affidiamo alle nostre sei consorelle le giovani vocazioni africane e i troppi poveri che gridano dall’Africa». «In queste sei vite — ha esordito il vescovo all’Omelia — vediamo entusiasmo e passione nella consacrazione alle missioni fino alla donazione totale. Tutti le cercavano e le chiamavano “mamme” o “nonne”. Hanno sempre ricercato il bene delle persone, rivendicato senza paura anche ricorrendo alle autorità. Chi le ha conosciute ha affermato che erano sospinte dall’amore per Dio e per i fratelli e che la sera passavano molto tempo a pregare tanto da essere invitate a riposare. Tutto questo non è fantasia o e sdolcinatura, considerata la vita che conducevano».

Monsignor Beschi ha ricordato che il processo di beatificazione si fonda sull’eroicità delle virtù delle sei religiose. «La carità verso i poveri è stata la loro regola di vita. Hanno vissuto la vita religiosa nella fraternità, non esitando ad accorrere accanto alle consorelle che si erano ammalate. Avevano preso le loro precauzioni essendo infermiere capaci. Ma sono accorse accanto alle consorelle non per obbedienza od ostentazione, ma come atto di fratellanza cristiana». Al termine della Messa si è svolto il rito di chiusura del processo diocesano di beatificazione, avviato dalla diocesi di Kikwit dove le sei Poverelle sono morte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA