Cronaca / Bergamo Città
Domenica 09 Febbraio 2014
Azzorre, il ricordo delle 144 vittime
rivissuto a Bergamo dopo 25 anni
Tre giorni dopo lo schianto alle Azzorre del Boeing 707 della Independent Air sul colle Pico Alto di Santa Maria - avvenuto l’8 febbraio 1989 e costato la vita a 144 persone - all’aeroporto militare di Orio al Serio atterrò un Hercules C-130 proveniente dall’isoletta portoghese.
Tre giorni dopo lo schianto alle Azzorre del Boeing 707 della Independent Air sul colle Pico Alto di Santa Maria – avvenuto l’8 febbraio 1989 e costato la vita a 144 persone – all’aeroporto militare di Orio al Serio atterrò un Hercules C-130 proveniente dall’isoletta portoghese; nella sua stiva insieme alle bare delle vittime c’era anche il questore romano Edmondo Patuto, che aveva fatto tutto il viaggio dall’arcipelago delle Azzorre a Bergamo sottozero nella pancia dell’aereo, per non lasciare neanche per un attimo il figlio Marco, 22 anni, di cui aveva recuperato il corpo di persona tra le fronde dell’isola.
Lui se n’è andato lo scorso anno, ma la moglie Annamaria ieri alle cinque del mattino ha preso il Frecciarossa dalla Capitale per arrivare alla commemorazione delle vittime delle Azzorre e ricorda che «Edmondo non aveva voluto assolutamente salire in cabina, era stato là sotto per tutto il tempo, era riuscito a riconoscere il figlio e lo voleva tenere stretto. Quando la bara è arrivata ho visto dei segni, come delle piccole incisioni che aveva fatto durante il volo, per distinguerla dalle altre ed essere certo che non avrebbe perso suo figlio un’altra volta e che l’avrebbe presto portato a casa».
Quello il suo solo desiderio, che condivideva con le mogli, i mariti, i padri, i figli e le figlie delle vittime che «per due o tre giorni sono stati ad attendere che la porta della morgue allestita al campo di Orio si aprisse e ne uscisse il medico per invitarli al riconoscimento della salma. Con quel “sì è lui” arrivava una straziante gioia nella disperazione, quella di poter portare a casa il proprio amato o la propria amata», come ricorda una delle Crocerossine che prestarono servizio durante le operazioni di riconoscimento delle vittime e in sostegno alle famiglie e che chiede di restare anonima, «perché per noi conta il servizio che prestiamo, non chi lo fa».
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