Amatrice come L’Aquila
Al telefono ride dopo il sisma

Mazzette e incarichi a parenti e amici per aggiudicarsi appalti pubblici nella ricostruzione dell’Aquila: a oltre otto anni dal terremoto che causò distruzione, 309 morti e circa 1.500 feriti, una nuova inchiesta giudiziaria scuote quello che è considerato il cantiere più grande d’Europa.

Nei guai 35 persone, coinvolti funzionari infedeli, anche di vertice, dei Beni culturali abruzzesi con sede nel capoluogo di Regione, imprenditori e professionisti: dieci sono agli arresti domiciliari, a cinque è stata notificata l’interdizione dall’esercizio dell’attività professionale, altri 20 sono indagati.

Dalle intercettazioni telefoniche spunta un imprenditore – dopo quel Francesco Piscicelli, in occasione del sisma dell’Aquila – che «ride», così scrive il Gip, parlando al telefono con un suo dipendente, il geometra Leonardo Santoro, delle future commesse del terremoto del centro Italia del 2016, in particolare di Amatrice (Rieti): si tratta di Vito Giuseppe Giustino, 65enne di Altamura (Bari), – ai domiciliari – presidente del Consiglio d’amministrazione della società cooperativa l’Internazionale. Come si legge nelle 183 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice Giuseppe Romano Gargarella, dopo le nuove scosse di terremoto «gli imprenditori monitorati da questo ufficio, tra i quali hanno assunto un comportamento particolarmente cinico i rappresentanti della società l’Internazionale, hanno cercato nuovi incarichi, grazie ai rapporti diretti con i pubblici funzionari». Il geometra Santoro, riassume il Gip, spiegava al suo datore di lavoro «che presso il Mibact era stata creata un’unità di crisi per valutare i danni ai beni architettonici. (...) Giustino, sentite le parole del Santoro – prosegue il gip – ha riso in maniera beffarda della nuova situazione venutasi a creare, in quanto per l’impresa il nuovo sisma non avrebbe potuto che portare nuovi introiti».

Perquisizioni e sequestri sono stati eseguiti dalle prime ore della mattina dai carabinieri dell’Aquila, oltre che in Abruzzo, in Campania, Puglia e Marche. Nel mirino 12 appalti pubblici relativi a edifici storici gestiti dal Mibact Abruzzo, tra cui spicca il Teatro comunale, in pieno centro all’Aquila, ancora non restituito alla città. Pesanti le accuse: gli indagati sono ritenuti responsabili dei reati di concorso in corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, turbata libertà degli incanti, falsità materiale e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, nonché soppressione, distruzione e occultamento di atti veri. Le indagini dei carabinieri dell’Aquila coordinate dal procuratore capo, Michele Renzo e dal pm Antonietta Picardi, sarebbero partite da spunti investigativi emersi da un’altra inchiesta.

A inchiodare gli indagati intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre che video e foto che dimostrerebbero le dazioni di danaro per vincere gli appalti. Gli investigatori definiscono sistemico lo stratagemma utilizzato: gli appalti pubblici aggiudicati a imprese «amiche» con ribassi d’asta cospicui con le somme in questione recuperate poi con varianti in corso d’opera affidate direttamente, con i funzionari infedeli che ricevevano danaro dagli imprenditori.

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