Alla riscoperta dei roccoli
Ora sono meno di sessanta

Nel 1950 in Lombardia erano oltre mille, vent’anni dopo erano ridotti alla metà. Ggli ultimi dati risalgono al 2002 e di roccoli ce n’erano in tutto 67. Una cifra che oggi è sicuramente inferiore e non c’è nemmeno bisogno delle statistiche per capire che questo sistema di cattura degli uccelli, come la caccia in genere, ha i giorni contati.

Chi da anni li studia e li fotografa è Santino Calegari, noto alpinista e non meno noto fotografo. Per il loro caratteristico tessuto arboreo, i roccoli vengono chiamati architetture verdi, e per rendersi conto di quanto sia appropriata questa definizione non c’è che da sfogliare il volume «Alla riscoperta dei roccoli della Bergamasca» (Momaeditrice, con il patrocinio del Cai e della Provincia di Bergamo) che verrà presentato giovedì sera alle 19 al Palamonti, con interventi del Presidente del Cai di Bergamo Paolo Valoti, dell’assessore all’Agricoltura Caccia e Pesca della Provincia Luigi Pisoni e del presidente dell’ANUU Migratoristi Gianni Bana.

Oggi ai roccoli si riconosce una peculiarità architettonica per la splendida trama ottenuta con pazienti potature e sagomature degli alberi, fino a dar vita a veri e propri «monumenti arborei». Per non parlare poi del loro valore paesaggistico, di cui sono un elemento caratteristico e caratterizzante. Non si può non restare stupiti e ammirati di fronte a strutture, veri e propri «palazzi verdi» di Ganda o di Aviatico, dove alla sapiente cura, che deriva da un «sapere» secolare si accompagna una cura che richiede fatica e passione infinita. Questi roccoli li hanno chiamati anche «bonsai bergamaschi»: un miracolo di bravura che trasforma i roccolanti in autentici giardinieri del monte.

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