«Il reato di clandestinità?
Assurdo». Parola di Tremaglia

«Hanno inventato un reato, il reato di immigrazione clandestina». Mirko Tremaglia è così, «contro» per definizione, uomo di parte ma spesso al di là degli schieramenti: «Con il pacchetto sicurezza si vogliono colpire gli emigranti che non hanno commesso alcun reato specifico contro la legge né offeso alcun diritto altrui».

Il vecchio leone della destra bergamasca, a Montecitorio senza soste dal 1972, graffia ancora, senza riguardi per i colleghi di maggioranza del Pdl (l’ultimo approdo quasi obtorto collo di una storia nata nel Msi e transitata per An) e gli alleati della Lega.

Già, la destra. Onorevole Tremaglia, da un uomo come lei ci si aspetterebbe il mito del rigore, della severità. Legge o ordine, insomma...
«Sono un uomo di destra che è stato anche ministro degli Italiani nel mondo e questo spesso qualcuno lo dimentica».

E quindi?
«E quindi un tempo noi eravamo "loro"... Come possiamo dimenticarlo».

Non fa una grinza...
«L’uomo di destra è quello che ha preso gli italiani emigrati e ha dato loro il voto, e che ora vede questi poveracci che vengono in Italia a cercare un futuro bollati come dei criminali con un reato inventato, che non esiste».

E che toglie ogni speranza...
«Questo è il punto. Lo sapete quanti sono i deputati di origine italiana che svolgono la loro attività in ogni parte del mondo? Sono 395. I loro nonni, i loro padri hanno saputo superare ogni persecuzione, respingere ogni attacco, e noi cosa facciamo? Una legge del genere...».

La storia che ritorna, solo che ora noi siamo dall’altra parte della barricata.
«E noi italiani venivamo trattati come oggi qualcuno vorrebbe trattare questa gente. Io ricordo sempre Marcinelle...».

Simbolo di una tragedia del lavoro...
«Ma anche del carbone, perché la nostra gente veniva scambiata con questo».

Cioé?
«Lo Stato italiano faceva contratti con il Belgio del tipo "tanti uomini, tanto carbone". Questo per capire come era la situazione, come facciamo a dimenticarlo? Come facciamo a non ricordarci dei locali con scritto "vietato l’ingresso ai cani e agli italiani"...?».

Con un aggettivo, come giudicherebbe questa norma?
«Assurda. Semplicemente assurda. Vuole colpire milioni di persone che lavorano o vogliono lavorare in Italia».

E cosa propone in alternativa?
«La cancellazione di questo reato, è assolutamente necessaria. E subito dopo serve una regolarizzazione e una sanatoria, provvedimenti che devono avere impostazione e carattere amministrativi».

È una posizione di sinistra...
«No, di buon senso, dia retta a me. E invito a fare questa battaglia di democrazia i miei colleghi parlamentari, in particolare quelli eletti all’estero, nonché la presidenza e i componenti del Cgie (Consiglio generale italiani all’estero, ndr) e Comites (Comitati italiani all’estero, ndr). Siamo tutti moralmente, oltre che politicamente, impegnati a salvaguardare gli stessi diritti che i nostri emigranti hanno ottenuto con tanti sacrifici. È una verità scritta nella nostra storia, per questo dobbiamo reagire ai maltrattamenti e alla privazione dei diritti di ciascun emigrante che rispetta in ogni parte del mondo i diritti altrui e quelli della convivenza».

Scusi, ma non si sente quell’attimo isolato nel centrodestra?
«No, non mi sento tale... Non sono il solo a pensarla così. C’è Gianfranco Fini, che crede in questa battaglia di difesa democratica: la regolarizzazione di oltre 700 mila emigrati nel nostro Paese era avvenuta su richiesta sua».

Resta però un problema di fondo: fino a quanto possiamo aprire le porte a tutti?
«Entrano finché possono entrare, e se si comportano correttamente, rispettando le leggi, non possono essere mandati indietro. Qui stiamo parlando di milioni di persone che non hanno lavoro, che non sanno come mangiare o mantenere le loro famiglie: è una questione di sopravvivenza».

Dal punto di vista umanitario va bene, ma c’è comunque un limite e qualche soluzione va trovata.
«Io ribadisco una mia proposta lanciata a Bucarest qualche anno fa: serve un grande e nuovo rapporto tra Europa e Africa per il lavoro. Difficilmente l’invasione dell’Europa sarà inevitabile, e non la fermeremo con leggi di questo genere o reati inventati. Dobbiamo creare occasioni di lavoro lì, sul posto, prenderci le nostre responsabilità. Sa, l’ho ripetuto qualche anno fa in un Consiglio dei ministri e un signore che non ha grandi rapporti con me era tutto contento: così se ne stanno a casa loro, mi ha risposto».

Mi faccia indovinare, Umberto Bossi?
«Non importa, dai... Comunque certo che la soluzione è il lavoro, mica la cancellazione dei debiti pubblici di questi Paesi: quelle sono operazioni di facciata, ma la gente continua a morire di fame».

Onorevole, quindi dopo gli emigranti italiani nel mondo, una nuova battaglia?
«Ah, ci può giurare».

Scusi, non è stanco?
«Finché riesco vado avanti. E poi sa, combattere queste ingiustizie mi fa sentire bene».

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