Giro del mondo di Marco&Malene
100% natura selvaggia e scalate

Dopo 491 giorni di viaggio, un raid mondiale, 88 mila km macinati, 21 Paesi attraversati e una ventina di vette scalate (tra cui l'Aconcagua, 6.962 metri), Marco e Malene sono rientrati a Bergamo: sabato 12 ottobre alle 11,45 «Frida» si è materializzata in piazza Pontida.

Dopo 491 giorni di viaggio, un raid mondiale, 88 mila km macinati, 21 Paesi attraversati e una ventina di vette scalate (tra cui l'Aconcagua, 6.962 metri), Marco e Malene sono rientrati a Bergamo: ieri mattina alle 11,45 «Frida», la Land Rover Defender 110, inseparabile compagna dell'impresa, si è materializzata in piazza Pontida dove era stato organizzato da amici e parenti il comitato di benvenuto: fiori, baci, abbracci e brindisi.

Marco Ponti, 41enne ex dirigente della Tenaris, cittadino di via Sant'Orsola, e Malene, sua moglie danese, ex geologa della Maersk Oil, appassionati alpinisti conosciutisi in Kazakistan nel 2009, avevano salutato l'Italia il 20 maggio 2012 dopo essersi licenziati da un lavoro gratificante ma stressante: hanno percorso le strade talvolta impervie di Canada, Stati Uniti, Messico, Guatemala, Belize, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica, Panama, Colombia, Ecuador, Perù, Cile, Argentina, Giappone, Russia, Georgia, Turchia, Grecia e infine Italia con quattro obiettivi: vivere un'esperienza alternativa senza schemi precostituiti, godersi la natura nella sua dimensione più selvaggia, anche se senza estremismi alla «Into the wild», scalare montagne e magari avere l'idea giusta per un definitivo cambiamento di vita.

Bentornato Marco, qual è il primo impatto?
«Difficile da digerire. Sarà dura alzarsi la mattina senza avere una meta da raggiungere».

Eh, già: cosa farà adesso?
«Per la verità non lo so, forse preparerò il prossimo viaggio».

È stata l'avventura che si attendeva?
«È stata più emozionante e più semplice di quanto pensassi. Più emozionante perché, al di là delle straordinarie bellezze della natura, ci ha stupito la fratellanza della gente, sempre pronta ad aiutarti. E più semplice perché non abbiamo avuto nessun problema meccanico con il fuoristrada e non abbiamo corso nessun rischio. Soltanto a El Salvador volevano arrestarci con l'accusa di importazione illegale del fuoristrada: noi avevano i documenti in regola, ma in realtà intendevano spillarci soldi. Comunque abbiamo telefonato all'Ambasciata italiana e ci hanno rilasciato».

Qual è stata l'emozione più forte?
«Probabilmente arrivare con il fuoristrada a El Chalten, in Argentina. Abbiamo avuto l'ebbrezza di essere dentro un pezzo di storia dell'alpinismo».

La scalata più gratificante?
«Quella sull'Aconcagua, non soltanto perché è stata la vetta più alta conquistata, ma perché è stata una vera e propria spedizione alpinistica durata venti giorni».

E il momento da ricordare?
«La scoperta che dietro una semplice roccia chiamata "del quadrato" c'era uno spettacolare plateau di ghiacciai. Eravamo nel parco nazionale Los Glaciares, sempre in Argentina, avevamo il Fitz Roy a sinistra e il Cerro Torre a destra e i ghiacciai scendevano dalle due montagne. È stata la curiosità a spingerci fin lì e siamo stati ripagati».

Com'è stato stare lontano dall'Italia e da tutte le diavolerie tecnologiche che ormai condizionano la nostra vita?
«Per 15 mesi abbiamo vissuto veramente in un altro mondo ed era quello che volevamo. Niente telefono, niente internet, soltanto il minimo indispensabile. Bellissimo, fantastico».

Come ve la siete cavata per le esigenze primarie, mangiare e dormire?
«Abbiamo sempre dormito in tenda, su quella montata sul tetto del fuoristrada in prevalenza o su quella piantata a terra. E per il cibo abbiamo usato sempre il nostro cucinino a gas. Era nostra intenzione vivere veramente dentro la natura».

E qual è stata la natura più entusiasmante?
«Quella della cascata Emperor sul monte Robson in Canada, dove non sei piccolo tu, è la natura a essere grandiosa, o quella della foresta pluviale a Panama, una foresta praticamente vergine. L'abbiamo percorsa a cavallo, accompagnati da ex guerriglieri panamensi, ma soltanto un pezzo perché abbiamo intuito che era pericoloso. Eravamo alla Darién gap, dove la strada Panamericana s'interrompe ed è impossibile raggiungere via terra la Colombia».

Le comodità non vi sono mai mancate?
«Beh, in Siberia sì. Per quindici giorni siamo stati in pratica rintanati nel fuoristrada perché di giorno eravamo assediati dai tafani e di sera dalle zanzare».

E il rapporto con Malene com'è stato?
«Prima eravamo una famiglia, ora siamo diventati anche una squadra. C'è stata una complicità totale, ma ci sono state pure giornate no, perché non è facile vivere per molte ore al giorno in tre metri quadrati di fuoristrada».

Un'idea per un futuro all'estero?
«Mah, abbiamo visto che ci sarebbe la possibilità di costruire un business legato al turismo di montagna in diversi Paesi, ma per il momento non c'è niente di concreto».

Pensierino finale?
«Raccomando assolutamente questa esperienza a chi, pur non avendo nessuno impedimento, vorrebbe magari tentare ma è bloccato da qualche remora sul piano psicologico. Si butti e non se ne pentirà».

Marco Sanfilippo

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