Macchina per la pasta e bici da lavoro
I mestieri perduti di Nonno Barba

Passeggiando attraverso le campagne, succede di venire assaliti da un'aria di antico, risalente ad una realtà che non c'è più. Ovunque, ma in nessun luogo come in una specifica cascina sperduta nella frazione Capannelle di Zanica.

Passeggiando attraverso le campagne, succede di venire assaliti da un'aria di antico, risalente ad una realtà che non c'è più. Ovunque, ma in nessun luogo come in una specifica cascina sperduta nella frazione Capannelle di Zanica: nell'Azienda agricola Piovanelli c'è tutto il mondo di Pier Angelo Esposito e anche qualcosa in più, in una grande fotografia in bianco e nero, i cui contorni vanno a perdersi nei meandri del tempo.
Cinquanta, cento, duecento anni e via a ritroso: una spirale infinita che riavvolge il proprio nastro fino al diciottesimo secolo, raccontando scampoli di un'Italia passata e ormai dimenticata. Perché la fotografia è un documento parziale e, a dirla tutta, nemmeno si sapeva bene cosa essa fosse quando qualcuno dei reperti in questione veniva forgiato: meglio quindi una testimonianza diretta, con la riproposizione di una miriade di oggetti appartenenti all'epoca dei nostri avi.

Galeotta la raccolta di chiavi
Parlando di una semplice collezione si rischierebbe di non descrivere a dovere ciò di cui si sta parlando: perché una raccolta di francobolli, piuttosto che di tappi di bottiglia, racchiude un'infinità di elementi appartenenti ad uno stesso filone, mentre qui si va ben oltre. Trovandoci subto di fronte ad un aratro in legno di fine Ottocento e ad una sgranatrice manuale, si potrebbe pensare all'agricoltura come filo conduttore, ma in realtà il discorso finirebbe per prendere presto la tangente, deragliando verso l'inevitabile fuori tema: perché ci si troverebbe ben presto ad avere a che fare con biciclette e arte sacra, giochi per bambini e mobili, fotografie e cimeli di guerra, andando avanti a oltranza, fino a toccare la cifra monstre di diecimilaottocento pezzi.

Tutti individuati, recuperati e messi da parte da Esposito, in un'intera vita dedicata a quello che è diventato ben più di un semplice sfizio: «Tutto nacque con una raccolta di chiavi, nel 1970: ero un ragazzo e all'inizio era un normale hobby». Diventato qualcosa di più negli anni, quando alla mente di Pier Angelo - per tutti Piero, per i bambini Nonno Barba - si affiancò quella della moglie Livia, sposata nel '72. Si andò oltre le chiavi e si passò ad attrezzi, oggetti comuni, reperti di ogni genere, con la sola condizione di un legame stretto con il passato. Inizialmente tutti ammucchiati nel garage di casa: nel 2005, quando Livia morì, Piero rimase solo e, pur non ammettendolo esplicitamente, fu tentato di sbarazzarsi di quel fantastico ammasso di cianfrusaglie, il cui numero si era già assestato da tempo sull'ordine delle migliaia.

«Ero stanco e non ero sicuro di andare avanti da solo: lì nacque l'idea di "Frammenti di storia", che fornì nuova linfa al progetto». Undici amici come soci fondatori, altrettanti aggiuntisi poi, a formare una vera e propria associazione, atta a conservare e diffondere una certa forma di cultura: in quel momento, la casa della collezione si era già trasferita, per motivi di spazio, nella cascina di Giorgio Piovanelli, che fu naturalmente uno dei primi adepti di «Frammenti di storia» ed è sempre uno dei soci in prima linea, insieme a Fiorenza, nuova compagna di Esposito. «Grazie all'associazione, tutto è diventato più facile e da tremila circa, siamo arrivati in meno di dieci anni al superamento di quota diecimila», gongola il deus ex machina, brandendo una macchina per la trafila della pasta ancora funzionante, due secoli e mezzo dopo.

La contessa e la sua permanente
C'è un passeggino trainabile da una capra che si dice appartenesse alla famiglia reale inglese, c'è una macchina per fare la permanente di una vecchia contessa svizzera, c'è un forcone in legno affilato come pochi, ma i pezzi pregiati sono altri e Esposito non fa nulla per nasconderlo, nella lunga passeggiata esplorativa che tocca ogni angolo di un vasto terreno, tra magazzini impolverati e sgabuzzini riempiti all'inverosimile: «Vado molto orgoglioso delle biciclette da lavoro: sono diciotto e ognuna di esse rappresenta un mestiere del passato».

Ci sono il lattaio, il sarto, il sacerdote, il fornaio e via dicendo, ognuno dei quali ha una bici attrezzata su misura, con la quale, fino a metà dello scorso secolo, affrontava le strade di campagna per portare a domicilio la propria opera: c'è anche quella dell'arrotino, l'ultima ad avere girato per la Bergamasca, all'inizio degli anni Sessanta, con la catena che si stacca e, dalle ruote del ciclo, si sposta su quella destinata all'affilatura. Tutto meravigliosamente vintage senza scadere nel trash, tutto abbastanza affascinante da meritare qualcosa in più di qualche estemporanea riemersione dalla polvere. Al momento, «Frammenti di storia» interviene a feste, sagre e manifestazioni culturali, portando a turno qualche elemento appartenente ad un singolo filone: spesso entra nelle scuole, come quella volta in cui i bambini restarono ammaliati da «Nonno Barba che fa le scintille», durante la riproposizione dei materiali del fabbro. Reperti da esposizione «Il sogno sarebbe un museo: ma servirebbe la disponibilità di un grande capannone per potere tenere tutto esposto», chiosa Piero, che non sa dire quanto valga tutto quello che possiede, ma ha una sola certezza, «non venderei nemmeno per tutto l'oro del mondo».

Eppure lui, come gli altri soci, ha aperto il portafoglio parecchie volte, perché non sempre è stato sufficiente scoprire l'esistenza di un determinato aggeggio per entrarne in possesso: «Appena ci segnalano un oggetto, ci muoviamo per visionarlo: qualche volta ci viene donato, altre volte improvvisiamo vere e proprie trattative. E le volte che sembrava dura, l'ho spuntata con la tattica dello sfinimento», ridacchia alla fine della chiacchierata, davanti a una lattina di Coca-Cola. L'unico reperto che non appartiene chissà a quanti secoli fa.

Matteo Spini

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