Cronaca
Mercoledì 18 Settembre 2013
«Con una risonanza magnetica
Morosini poteva essere salvato»
«Se Piermario Morosini fosse stato sottoposto a una risonanza magnetica, i medici sportivi che lo seguivano avrebbero potuto individuare la malformazione cardiaca di cui soffriva». Lo dice Cristina Basso, professoressa associata di Anatomia patologica.
«Se Piermario Morosini fosse stato sottoposto a una risonanza magnetica, i medici sportivi che lo seguivano avrebbero potuto individuare la malformazione cardiaca di cui soffriva».
Cristina Basso, professoressa associata di Anatomia patologica all'Università di Padova e perito della famiglia del calciatore morto il 14 aprile 2012, lo ha ribadito a un recente congresso internazionale di cardiologia. Il «Moro» fu stroncato da una cardiomiopatia aritmogena durante la partita Pescara-Livorno.
Gli effetti della malformazione, probabilmente di origine genetica, erano in fase iniziale. «Non aveva mai avuto sintomi e non c'è stata imperizia da parte dei medici sportivi - aggiunge la dottoressa - che non avevano alcun motivo per approfondire le indagini. Resto sempre dell'avviso, però, che con un defibrillatore avrebbe avuto qualche chance in più di salvarsi».
Ed è proprio sul mancato utilizzo di questo strumento che la Procura pescarese ha aperto un fascicolo per omicidio colposo. Nelle fasi del soccorso il defibrillatore, benché presente, non venne impiegato «perché - riferirono fonti mediche - c'era ancora attività cardiaca».
La professoressa Basso fa parte del gruppo di ricerca sulle «Cardiomiopatie aritmiche e morte improvvisa giovanile» dell'Università di Padova guidato dal professor Gaetano Thiene, che recentemente ha compiuto un altro importante passo avanti, studiando oltre 600 casi e identificando un nuovo gene della malattia che colpisce sportivi di tutti livelli, provocando ogni anno due morti ogni 100 mila persone sotto i 35 anni.
Ad oggi, però, non esiste una cura in grado di agire sulle cause della malattia e, soprattutto, la diagnosi risulta molto difficile al punto che, ancora troppo spesso, si finisce per scoprire la cardiomiopatia solo in sede di autopsia. «L'arresto cardiaco è spesso la prima manifestazione di questa malattia - conferma la dottoressa - e se, come nel caso di Morosini, l'atleta non viene trattato immediatamente con il defibrillatore, rischia di morire».
A confermare la difficoltà nel diagnosticare patologie di questo tipo è anche Francesco Fedele, cardiologo dell'Università La Sapienza di Roma e presidente della Fondazione italiana cuore: «Nel caso della cardiomiopatia aritmiogena, ad esempio, anche un ecocardiogramma non avrebbe potuto metterla in evidenza».
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