Sarnico, trovato morto nel lago
Il «Veneto», anima di villa Faccanoni

Il lago era ancora scuro, lui gli si è consegnato quando l'alba era solo un'ipotesi. Era vestito di tutto punto, come se dovesse uscire: camicia, pullover, pantaloni di vigogna, scarpe. «Galleggiava a nemmeno mezzo metro dalla scalinata».

Il lago era ancora scuro, lui gli si è consegnato quando l'alba era solo un'ipotesi. Era vestito di tutto punto, come se dovesse uscire: camicia, pullover, pantaloni di vigogna, scarpe. «Galleggiava a nemmeno mezzo metro dalla scalinata e con la mano sembrava stringere uno dei pali per l'ormeggio, forse per impedire di essere trascinato via, come se avesse voluto rimanere qui davanti», racconta Giuseppe Tobias Faccanoni, che ufficialmente era il suo datore di lavoro ma che lo considerava in pratica un padre.

Non poteva scegliere un posto qualunque per congedarsi, Antonio Rech, 83 anni, 55 dei quali trascorsi qui, a Villa Faccanoni, gioiello liberty progettato da Giuseppe Sommaruga e vanto architettonico di Sarnico. Custode, maggiordomo, giardiniere delle sorelle Medi e Liliana, ma in pratica uno di famiglia.

«Era il più Faccanoni di tutti noi», confida con gli occhi umidi Giuseppe Tobias. In paese lo conoscevano tutti, ma nessuno ha mai saputo il suo cognome. Per tutti era l'«Antonio della Villa» o il «Veneto» (era originario di Seren del Grappa), in quell'anagrafe parallela forgiata appositamente per i personaggi ricchi di aneddotica e baciati dal fiato della leggenda di provincia.

Gran bevitore, con quel sorriso e quella cadenza (conservata sino alla fine) che vincevano ogni diffidenza («Aveva la capacità con un gesto, una gentilezza semplice, di cambiare la giornata a chiunque», rivela Giuseppe). Di insuperabile generosità e brillantezza, arrivato a pagare da bere al miliardario Onassis in un bar di Portofino.

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