Ha lavorato 35 anni «col cuore»
Paolo Ferrazzi lascia l'ospedale

Mercoledì, dopo l'ultimo intervento, ha ringraziato tutti, soprattutto le donne delle pulizie della sala operatoria, perché il loro lavoro è essenziale. Oggi è l'ultimo giorno in ospedale per Paolo Ferrazzi, direttore della Cardiochirurgia del «Papa Giovanni XXIII».

Mercoledì, dopo l'ultimo intervento, ha ringraziato tutti, ma soprattutto le donne delle pulizie della sala operatoria, perché il loro lavoro è essenziale. E oggi è l'ultimo giorno in ospedale per Paolo Ferrazzi, direttore del Dipartimento cardiovascolare e dell'Unità struttura complessa di cardiochirurgia del «Papa Giovanni XXIII».

Con lui, allievo di Lucio Parenzan e suo successore anche alla guida della International Heart School, si chiude a Bergamo l'era pionieristica della cardiochirurgia, vinta la scommessa che un servizio sanitario nazionale può e deve offrire ai cittadini il meglio. Perché è questo, oltre il fascino di una biografia professionale di successo, il senso della storia.

Il conto è di 10.200 interventi maggiori eseguiti (dei quali 2.500 su congeniti), 25.000 partecipati e 150 giorni di ferie arretrate. Può staccare solo adesso che il trasbordo dai Riuniti è compiuto?
«Sì, è così. Ho scoperto Bergamo nel 1972, appena laureato a Roma. Avevo 24 anni, stavo girando l'Italia in cerca di un ospedale dove fosse possibile fare il chirurgo sul serio. I Riuniti stavano emergendo per la cardiologia. Il primo luglio 1973 sono stato assunto e la storia è cominciata».

Qualche anno dopo, anche la storia dei trapianti di cuore. A oggi a Bergamo, ne sono stati effettuati 850. Il primo da Ferrazzi, nella notte del 23 novembre 1985.
«Resta ancora il mio maggior motivo di orgoglio e di gratitudine verso Lucio Parenzan che me ne diede la possibilità. Era passata una settimana dal primo trapianto eseguito in Italia a Padova, avevo 37 anni e 150 giornalisti fuori dalla porta della sala operatoria. E c'era stato da organizzare tutto, un lavoro enorme. Il giorno prima stavamo valutando un candidato a basso rischio. Poi è stato ricoverato un paziente in edema polmonare...abbiamo deciso con Parenzan di essere coraggiosi. Un paziente che sarebbe a rischio anche ora. Non avemmo nessuna complicazione e facemmo il bene del paziente. È a questo che bisogna sempre pensare».

Leggi l'intervista di Susanna Pesenti a Paolo Ferrazzi su L'Eco in edicola venerdì 21 giugno

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