Cronaca
Domenica 31 Marzo 2013
La buona Pasqua dal vescovo Beschi
«Non ci lasciamo rubare la speranza»
«Ora, di fronte all'immenso dolore di tutti, risuona l'annuncio pasquale, annuncio gioioso, incontenibile alleluia. Tanto più incontenibile in quanto pretende di essere non soltanto l'annuncio per i pochi che ci credono, ma per tutti». È la buona Pasqua di Francesco Beschi, vescovo di Bergamo.
«Che cosa significa parlare di Pasqua, di risurrezione, di vita, quando tanti segnali di morte ci assediano? La crisi estenuante sembra non lasciare tregua, mentre la politica fatica a trovare una qualche soluzione che arrivi almeno ad arginarla».
«Guerre e gravi tensioni internazionali costellano il pianeta. Nella terra dove Gesù è morto e risorto la tregua, quando c'è, è ferocemente armata. Quando ognuno di noi è arrivato a stilare la lista delle sue preoccupazioni pubbliche, può iniziare a compilare la lista delle sue sofferenze personali e familiari. E anche queste, spesso, non finiscono mai. O è come se non finissero mai, perché il dolore è tenace e dura sempre di più di quanto siamo capaci di sopportarlo».
«Ora, di fronte all'immenso dolore di tutti, risuona l'annuncio pasquale, annuncio gioioso, incontenibile alleluia. Tanto più incontenibile in quanto pretende di essere non soltanto l'annuncio per i pochi che ci credono, ma per tutti. I pochi che ci credono, infatti, sono invitati ad annunciare che tutti sono "toccati" dal gesto vittorioso del Cristo che esce dal sepolcro per non tornarvi più».
«Solo che la distanza fra quello che si annuncia e quello che il mondo vive, tra i molti che soffrono e i pochi che dicono che bisogna sperare, è enorme. La Pasqua, di conseguenza, rischia di essere il grido affascinante, ma insieme impotente e la speranza che viene dal Risorto struggente, ma insieme irraggiungibile».
«Questa notte, durante la veglia di pasqua, abbiamo letto il vangelo di Luca che racconta la scoperta del sepolcro vuoto da parte delle donne. Quando ci sforziamo di comprendere il racconto di Luca, c'è da rimanere sorpresi. Il brano ci offre due scenari che si intrecciano: l'annuncio della Risurrezione e le reazioni di fronte a quell'annuncio. L'annuncio è dato dagli angeli e dunque viene dall'alto, dal cielo: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo?", chiedono gli angeli "in abito sfolgorante". "Non è qui, è risorto"».
«L'annuncio venuto dal cielo diventa poi l'annuncio delle donne che corrono dai discepoli per raccontare tutto quello che hanno visto e ascoltato. Ma anche i discepoli avvertono, per prima cosa, la distanza fra le loro attese e quello che ascoltano: "Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse". Nonostante questo, Pietro corre al sepolcro, vede i teli che avevano avvolto il corpo di Gesù e torna indietro "pieno di stupore per l'accaduto"».
«Il racconto della Pasqua diventa, quindi, mi sembra, il racconto della messa in disuso dei simbolismi della morte: il sepolcro che serve per coprire il cadavere è aperto. I teli non avvolgono più niente. Perfino gli aromi sono diventati inutili. Ma soprattutto sono messe fuori uso le aspettative delle donne e dei discepoli: niente è come previsto, tutto è sorpresa e stupore, fino ai limiti del vaneggiamento e dell'incredulità. Quella scena si ripete, oggi, sempre, di fronte alla Pasqua».
«Gli uomini si presentano al sepolcro con qualche tratto, spesso molto bello, della loro umanità. Sono piccoli, grandi gesti di gratuità che possono aprire spiragli per capire la gratuità assoluta di Dio. Anche oggi, e anche di fronte alla morte e alla violenza, c'è ancora gente che ha il coraggio di perdonare. Di fronte ai tanti crocifissi, qualche cireneo si fa avanti per portare lui la croce. Quel perdono inatteso, quella croce condivisa preannunciano già il dono incondizionato da parte di Dio e la vittoria della Pasqua».
«Tante piccole Pasque degli uomini preparano l'esplosione della buona notizia della Pasqua di Gesù. La quale, comunque, è sempre talmente straordinaria che supera sempre quello che siamo e quello che riusciamo ad offrire. E noi siamo come le donne che hanno in mano gli aromi preziosi. Sono i nostri perdoni donati, le nostre croci condivise: gesti grandiosi che ci sono costati moltissimo e che sono come il distillato della nostra esistenza».
«Eppure tutti quei gesti, pur così grandi, svaporano di fronte al sepolcro vuoto. Niente è più prezioso di quel buco vuoto, di quei teli abbandonati per terra. Non resta che lasciarci prendere dallo stupore, come Pietro. È il mio augurio di pasqua: che anche noi siamo capaci di portare la nostra vita davanti al sepolcro vuoto ma che ci lasciamo poi prendere dallo stupore per quello che è successo, per quella vita donata per noi. In altre parole, che non ci lasciamo rubare la speranza, come ci ha raccomandato papa Francesco».
+ Francesco Beschi
vescovo di Bergamo
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