Fara d'Adda: assolto l'uomo
rovinatosi per pagare le tasse

Tremava, aggrappandosi a quell'intercalare sommesso («scusate, scusate») che ha finito per intenerire chi lo ha visto deporre in aula. Lui, G. D., 55 anni, imprenditore di Fara Gera d'Adda, imputato di bancarotta fraudolenta.

Tremava, aggrappandosi a quell'intercalare sommesso («scusate, scusate») che ha finito per intenerire chi lo ha visto deporre in aula. Lui, G. D., 55 anni, imprenditore di Fara Gera d'Adda, imputato di bancarotta fraudolenta, ma antropologicamente lontano anni luce dai prestigiatori delle distrazioni fallimentari, solitamente così freddi e strafottenti.

L'uomo che cadde in disgrazia per pagare cartelle esattoriali e creditori; che preferì salvare l'onore e la faccia, le uniche cose che gli rimangono dopo essere stato costretto a vendere tre case. Nell'Italia dei 340 miliardi di euro di evasione, dei domicili fiscali di comodo e dei falliti che continuano a girare in Porsche e a vivere in villa, c'è ancora qualcuno capace di rovinarsi per saldare i debiti e onorare gli impegni di contribuente.

Servirà a poco, ma l'assoluzione che G. D. ha incassato, su richiesta dello stesso pm, è una specie di risarcimento morale. Il collegio presieduto da Giovanni Petillo ha privilegiato l'elemento soggettivo della presunta malefatta, e cioè che se anche l'imprenditore ha distratto dal fallimento della sua ditta i 430 mila euro contestati nel capo d'imputazione, lo ha fatto per pagare fornitori e tasse, non per godersi personalmente il bottino.

È una cartella esattoriale da 12 milioni di vecchie lire l'origine di questa odissea tributaria. L'imprenditore, tra interessi, multe e altre contestazioni, arriverà a versare alle agenzie del fisco - prima Bergamo Esattorie, poi Esatri, infine Equitalia - 347 mila euro, di cui solo 240 mila documentati («È che, tra i vari traslochi ho perso parte delle carte», si giustifica il cinquantacinquenne).

Tra l'altro, la cartella piove per un'irregolarità contabile che è palesemente un errore di distrazione, privo di dolo: nel bilancio del 1990 del caseificio di cui G. D. all'epoca era socio, compaiono solo i ricavi (780 milioni di lire) e non le spese. «Se uno vuole evadere di solito gonfia le uscite per ridimensionare gli utili, no?».

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