Il vescovo: Papa Francesco
un dono contro la rassegnazione

di Franco Cattaneo
«Il Papa nel modo in cui s'è presentato mi ha molto colpito: le sue parole sono state tutte in linea come vescovo di Roma. Ha insistito molto su questo, un fatto impressionante perché indica la prospettiva, oggi  fortemente avvertita, di una maggiore collegialità».

di Franco Cattaneo

Eccellenza, c'è una felice coincidenza di tempi: la notizia del nuovo Papa, eletto nell'anno giovanneo, cade nel giorno in cui il vescovo di Bergamo è a Sotto il Monte, la terra di Giovanni XXIII. Non trova che sia un segno della Provvidenza?
«Io addirittura – risponde monsignor Francesco Beschi – pensavo potesse essere eletto anche mercoledì mattina. Ero con tanti sacerdoti, stavamo pregando in preparazione della Pasqua e ho condiviso con loro questo pensiero. Trovarsi in questo luogo che simbolicamente è ancora forte, e parla a tutto il mondo come Sotto il Monte evocando con una stupenda meditazionela figura di Papa Giovanni, e trovarsi nella condizione del compimento di questa attesa dice che questa interiore continuità che la Chiesa rappresenta nella sua storia pur contraddittoria ma che nella sua vena profonda è talmente viva da rappresentare continuamente delle sorprese. Bisogna dire che noi, di fronte a questa elezione, siamo ancora una volta davanti ad una sorpresa che fa sperare in direzione di quel
costante rinnovamento richiesto alla Chiesa non solo dall'opinione pubblica diffusa, ma soprattutto dalla sua fedeltà al messaggio evangelico».

Il vescovo è felice e si vede: il sorriso ampio e senza soluzione di continuità, quel gesticolare delle mani che accompagna i suoi ragionamenti. Una soddisfazione che viene dal cuore e dalla mente.

«Sì - conferma -, sono molto soddisfatto. Soddisfatto anche per questo sconvolgimento delle previsioni che un po' mi aspettavo. Poi questo nome Francesco, bellissimo e che dice molto intestato al Papa. Certo, se mi è concesso questo Francesco un po' mi prende, mi commuove».

E qui monsignor Francesco Beschi, dinanzi a questa affinità anagrafica, ha una pausa e la voce subisce come un intoppo per la commozione. Per poi  aggiungere: «Non è evidentemente una questione solo di nome, ma di significati che vorrei spiegare in modo compiuto».

La giornata di mercoledì, che ha chiuso nel migliore dei modi una fase unica nella storia moderna della Chiesa (le dimissioni di un Pontefice), il vescovo l'ha vissuta come da agenda programmata. La mattina agli esercizi spirituali a Sotto il Monte che ha lasciato non prima di una visita a monsignor Loris Capovilla: «Pensi che proprio qualche ora fa mi parlava in modo molto forte della povertà, della limpidezza della testimonianza evangelica». Poi alle 16, nella parrocchiale di Mozzo, l'incontro con i catechisti del vicariato proseguito in serata. Con la fumata bianca questa umanità di ragazzi e meno giovani s'è riversata all'oratorio dovec'è un maxi schermo televisivo. Tutti in piedi e con loro il vescovo in pullover, il viso appoggiato alla mano sinistra, lo sguardo compiaciuto. Sorrisi, applausi, strette di mano.

In effetti, in questo Conclave, il nome del cardinale di Buenos Aires è una sorpresa.
«I nomi ricorrenti che leggevamo erano diversi. Quello di Bergoglio era ripetuto, si sapeva del suo ruolo nel Conclave precedente, però non era di quelli che ci si attendeva. Un Conclave sorprendente per la brevità. Sorpresa e gioia, in qualche modo un pizzico di soddisfazione per la rapidità dell'elezione. La sorpresa per questo nome, per il fatto che è il primo Papa non europeo e per il nome che porta. La scelta del nome Francesco è di grandissima portata, già indica un programma. È il primo Papa che porta questo nome, che evoca quelle esigenze di evangelicità, di radicalità evangelica, di profezia, di trasparenza evangelica, di vicinanza al popolo, che vengono avvertite come necessarie all'interno della Chiesa. Questa elezione è sorprendente».

Non le pare che chiamarsi Francesco, proprio per il profilo del Santo, sia un modo coerente per condividere la dura realtà di questo ciclo storico?
«A me sembra proprio di sì. Devo dire di una riflessione che facevo: tra me e me il desiderio che questo nome risuonasse ce l'avevo. Mi sembrava impossibile, ma dentro di me - ripeto - il desiderio che un Papa potesse chiamarsi così ce l'avevo, proprio a fronte dei tempi che attraversiamo, anche di questa specie di congestione della Chiesa in cui convivono gli elementi più belli e anche più drammatici e a volte contraddittori. In questo senso parlo di congestione. Un nome così limpido alle coscienze di tutti, anche al di fuori della Chiesa. Francesco è una figura significativa, pensiamo solo a cosa rappresenta Assisi nel mondo e tutto questo va nella direzione di un'apertura, di una sorta di scioglimento di questa congestione un pochettino pesante e sofferta che ci ha accompagnato in questo periodo».

La scelta di un Papa dell'America Latina suona come la conferma della crisi dell'Europa: crisi della comunità cristiana e non solo.
«Certamente l'Europa sta vivendo questo passaggio. Sotto tale profilo uno poteva ipotizzare anche un cardinale europeo proprio per rilanciare quel cuore della storia del cristianesimo rappresentato dall'Europa. Dall'altro bisogna anche riconoscere questa novità dei popoli cresciuti in questi anni nel Sud del pianeta e ricordare che l'America Latina è l'area del mondo con più cattolici, una giovinezza di generazione, la riproposizione di un modo diverso da quello europeo di proporre la vita, la vita della fede, la  vita cristiana».

C'è un dato che riguarda da vicino la Chiesa: con questo Pontefice si chiude la stagione di chi ha vissuto in prima persona il Concilio.
«Chiaramente con Papa Benedetto eravamo ormai alla conclusione di coloro che avevano vissuto direttamente, anche se non come vescovi, la realtà del Concilio. Ma pure sotto questo profilo, non per ingenuità o per un ottimismo della volontà, io credo che questo sia un passaggio opportuno: non viviamo più semplicemente della testimonianza di quelli che l'hanno vissuto, ma adesso viviamo di quel che il Concilio ha veramente rappresentato per la Chiesa. Il Concilio non vive solo nello spazio di una, due o tre generazioni, ma segna una traccia che va oltre: trovarsi in questa condizione alimenta una nuova responsabilità anche nei confronti del Concilio».

Le prime parole di Papa Francesco hanno già lasciato il segno, fra l'altro, per l'insistenza del termine «fraternità».
«Il Papa nel modo in cui s'è presentato mi ha molto colpito: le sue parole
sono state tutte in linea come vescovo di Roma. Ha insistito molto su questo, un fatto impressionante perché indica la prospettiva, oggi fortemente avvertita, di una maggiore collegialità. Il Papa è il segno dell'unità all'interno del gruppo dei vescovi e all'interno della Chiesa: è il segno visibile dell'unità come vescovo di Roma, è il primo in quanto vescovo di Roma. Ha marcato molto questo aspetto. Parlava alla comunità di Roma, al punto da sorprendermi: pensavo si indirizzasse al mondo, mentre lui parlava con la città, con la comunità di Roma, perché uno diventa Papa in quanto vescovo di Roma. Poi, è vero, lui va oltre perché alla benedizione parla di tutta la Chiesa, del mondo, allarga l'orizzonte e dà la benedizione a tutti gli uomini di buona volontà superando addirittura i confini della Chiesa. Questi passaggi, con parole sobrie ma non casuali, sono segnati dall'insistenza sulla fraternità: il nome Francesco, l'evocazione continua della fraternità, della necessità di una fraternità che si alimenti fra tutti, questa costruzione d'amore, questa fraternità che in qualche modo lui ha invocato quando, in maniera sorprendente, ha chiesto di pregare perché
il Signore lo benedisse: ci mancava poco che dicesse beneditemi voi prima che io benedica voi. Il tema fraternità ha una grande valenza all'interno della Chiesa. Penso, ad esempio, al superamento delle divisioni che ringraziando il Signore non trovo nella chiesa diocesana, ma che sono state palesate all'interno della Chiesa. Ma penso anche alla fraternità come criterio ispiratore del suo servizio nei confronti del mondo».

La biografia di Bergoglio è peraltro segnata da una riconosciuta sensibilità verso i poveri.
«Certamente è un uomo che ha esercitato il suo ministero a Buenos Aires con un'autorevolezza morale molto forte e che al tema della povertà ha postoaltissima attenzione. Credo che questa attenzione al mondo dei poveri, ma certamente anche ad uno stile più povero della Chiesa, sia uno dei motivi della scelta dei cardinali».

Non pensa che in coincidenza con questa elezione sia auspicabile che lo Spirito soffi su questa povera Italia?
«Penso di sì. Il legame della Chiesa con l'Italia è fortissimo e anche il legame del Papa, nel senso che è il Papa di tutti: è il vescovo di Roma e ha un legame particolare con i vescovi e le diocesi italiane. Questo dono dello Spirito, ripeto così sorprendente, può avere anche risvolti sull'Italia e non penso soltanto a chi è chiamato a responsabilità politiche. Penso proprio al nostro popolo, alle nostre coscienze, a quella che a volte è un po' stanchezza e rassegnazione che sembra accompagnarci. Sentimenti che, se mi è concesso, è come se venissero riscattati dalla "vecchia" Chiesa e superati da autentiche novità dello Spirito».

Un'ultima domanda: in questa giornata, che restituisce un senso all'esistenza di credenti e non, il vescovo di Bergamo che cosa si sente di dire a tutta la comunità della nostra terra?
«Vorrei dire a tutta la comunità che questo segno, questo dono rappresenta veramente uno squarcio rispetto a ogni forma di rassegnazione. Le fatiche che ci stanno attraversando sono tante e il rischio che la polvere della rassegnazione si stia accumulando è reale. Vedo molta forza e molta determinazione, ma sia nella comunità sia nella società nel suo insieme questo pericolo della rassegnazione, di non vedere un futuro è molto evidente. La scelta di questo Papa è un autentico dono fatto alla
comunità cristiana perché le prospettive che sembrano aprirsi sono prospettive di speranza, ma io mi auguro che lo siano anche per la società bergamasca nel suo insieme».
Franco Cattaneo

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