Cronaca
Mercoledì 13 Marzo 2013
Terapie intensive piene:
120 km per un ricovero
A volte se le circostanze sfavorevoli si mettono tutte in fila, capitano disgrazie che dovrebbero invece restare nella dimensione dell'impossibile. Ma capitano, e se questo accade nel mondo della sanità bergamasca non ci si può non fermare a riflettere.
A volte se le circostanze sfavorevoli si mettono tutte in fila, capitano disgrazie che dovrebbero invece restare nella dimensione dell'impossibile. Ma capitano, e se questo accade nel mondo della sanità, e soprattutto della sanità lombarda, ancora più bergamasca, quella che usualmente è definita di eccellenza, non ci si può non fermare a riflettere.
Capita infatti che in tutta la Bergamasca non ci sia un posto libero in terapia intensiva e il paziente in gravi condizioni debba essere trasportato in un'altra provincia. Purtroppo sabato scorso si è verificato un caso proprio in Val Brembana.
Dall'ospedale di San Giovanni Bianco è partita la richiesta di un ricovero urgentissimo per un giovane paziente, ma su tutto il territorio provinciale non c'era un posto libero, in nessuna delle terapie intensive attivate. Ed è stato necessario cercare una disponibilità fuori provincia: Cremona, che dista da San Giovanni Bianco più di 120 chilometri, l'aveva, ma c'era nebbia fitta in quella zona e il trasporto non era effettuabile in elicottero, così è stata usata l'ambulanza.
Purtroppo, poco dopo il ricovero a Cremona, il giovane è morto. Ora, nessuno collega il decesso alla lunga distanza del trasferimento. E gli stessi familiari chiedono il silenzio doveroso per chi ha perso una persona cara e sa che tutto il possibile per aiutarla e salvarla è stato fatto. Non solo nel momento più grave ma anche negli anni precedenti per la sua salute.
Ma una riflessione, partendo da questa triste vicenda, è inevitabile. Una riflessione che deve partire anche da quanto sottolineano gli esperti: «Può accadere, è raro, ma può accadere che la disponibilità di posti in terapia intensiva sul territorio bergamasco non ci sia. È successo sabato, quando San Giovanni Bianco ha chiesto a noi di verificare la possibilità di trasferire con urgenza il paziente in un centro con terapia intensiva - spiega Oliviero Valoti, responsabile del 118 di Bergamo -. Purtroppo, erano tutti pieni».
I posti letto disponibili, su tutto il territorio bergamasco sono 91, così distribuiti: 4+4 ai policlinici San Marco di Zingonia e San Pietro a Ponte San Pietro, 6 a Seriate, 7 all'ospedale Treviglio-Caravaggio, 12 all'Humanitas Gavazzeni e 58 attivati e funzionanti al nuovissimo Papa Giovanni XXIII, 3 in più dei vecchi Riuniti. Il Papa Giovanni ha 88 posti accreditati in totale per le terapia intensive, cioè virtualmente utilizzabili comprese le terapie subintensive, ma queste ultime non sono ancora attivate.
«Confermo, nessuna delle strutture ospedaliere sul territorio aveva disponibilità di posti. A questo punto la procedura, in caso di paziente critico da trasferire con urgenza, è quella di contattare, in modo simultaneo, strutture ospedaliere delle province limitrofe - continua Valoti -. È stato fatto così anche in questo caso: la prima a rispondere è stata Cremona, disponibilità accettata immediatamente. Ma non è stato possibile il trasferimento in elicottero: a Cremona c'era nebbia fitta, i colleghi di San Giovanni Bianco sono partiti immediatamente in ambulanza».
Poi, il dramma. Inevitabile interrogarsi: il sistema di «rete», in caso di urgenza, funziona davvero nella sanità d'eccellenza bergamasca? I numeri
di posti letto, come si è visto, sono alti, e sulla carta ampliabili: se è però vero, secondo la letteratura scientifica, che soprattutto in strutture di alto livello se si amplia l'offerta, aumenta nel contempo la domanda, è altrettanto vero che per attivare più posti letto nelle terapie intensive è necessario disporre di maggiore personale.
Ovvero di maggiori risorse finanziarie. Ci sono? La risposta è lapalissiana. È successo sabato al giovane della Val Brembana, poteva capitare a chiunque.
Carmen Tancredi
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